Siderno: Si aprono le porte del carcere per Macrì. Dopo 10 anni giustizia per Albalucia, Federica e Alessio
Riceviamo e pubblichiamo
Dieci anni di attesa, dieci anni di lancinante dolore, rinnovato, udienza dopo udienza, dalla lentezza della macchina della giustizia. Ma dopo dieci anni, Albalucia Caricari, Federica Petrolo e Alessio La Rosa potranno finalmente avere giustizia. Tanto ci è voluto per chiudere il processo contro Marcantonio Macrì, condannato definitivamente a quattro anni e mezzo per la morte di tre ragazzi, una delle pagine più tristi della storia di Siderno. La vita di Albalucia e Federica, di 17 anni, e Alessio, di 19, si è spenta il 15 giugno del 2008, dopo una folle corsa in auto contromano. Senza motivo e senza appello. E solo dopo due annullamenti da parte della Cassazione e due nuovi processi d’appello le famiglie delle vittime hanno potuto avere le risposte che attendevano da parte dello Stato. Una risposta che è arrivata dai giudici della Quarta Sezione della Corte di Cassazione, che hanno rigettato il ricorso presentato dai legali di Macrì contro la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria, che oltre alla condanna a quattro anni e mezzo ha disposto anche sospensione della patente per due anni.
La dinamica dell’incidente. Erano le 2,30 di notte quando Macrì, premendo il piede sull’acceleratore oltre i limiti consentiti, nonostante la pioggia, imboccò contromano la rotatoria tra via dello Sport e via Magna Grecia-via Dromo Sud, nel centro di Siderno, perdendo il controllo dell’auto e andando a schiantarsi contro una cabina Telecom e il muro. Un impatto terribile, che non lasciò scampo ad Albalucia e Federica, morte sul colpo. Alessio, invece, che viaggiava assieme a le due ragazze sul sedile posteriore, rimase per un po’ in bilico tra la vita e la morte, in un letto degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, prima di spegnersi, mentre Macrì e un altro amico rimasero feriti. Quelle morti, secondo i giudici che hanno valutato il caso, sarebbero avvenute per «negligenza, imprudenza ed imperizia», nonché per «la violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale». Macrì aveva osato troppo alla guida e i suoi amici ne avevano pagato il prezzo più alto.
Il lungo iter processuale. La sentenza di primo grado per omicidio colposo arrivò quasi al secondo anniversario dalla morte di quei ragazzi, il 12 maggio 2010. Il gup del Tribunale di Locri condannò a cinqueanni Macrì, che usufruì dello sconto di un terzo della pena grazie alla scelta del rito abbreviato. Per lui il pm Rosanna Sgueglia aveva chiesto una condanna a seianni, perché sarebbe stata «evidente la condotta dell’imputato nel contravvenire alle più semplici norme di sicurezza stradale». La tragedia, infatti, non fu altro che il frutto di una manovra spericolata ed ad alta velocità, sulla quale la difesa aveva provato a fornire un’interpretazione diversa: secondo gli avvocati di Macrì, l’auto sarebbe sbandata per evitare una seconda vettura. Un’ipotesi smentita dalla perizia del consulente dell’accusa, non sarebbe plausibile «sia per i riscontri oggettivi, sia perché in palese contrasto con le leggi della fisica». La sentenza di Locri venne confermata due anni più tardi dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, arrivando per la prima volta in Cassazione a maggio del 2013. Ma lì i giudici della Suprema Corte decisero di annullare in parte quella decisione, chiedendo ad una nuova sezione d’appello di ripronunciarsi sulla concessione delle attenuanti generiche, negate nei primi due gradi di giudizio e confermando, invece, il nucleo fondamentale del processo: la responsabilità di Macrì per la morte dei suoi tre amici.
Le attenuanti. Il secondo processo d’appello non cambiò la storia: per i giudici, Macrì non avrebbe meritato attenuanti. Una decisione pronunciata il 21aprile 2014, che la Cassazione, due anni più tardi, decise di nuovo di bocciare, rispedendo tutto indietro per un nuovo appello. Un ulteriore pugno nello stomaco per le famiglie delle vittime, costrette a subire, oltre alla perdita dei propri cari, trasfigurati ormai in fascicoli rilegati con un numero, anche un rimpallo interminabile tra tribunali. Il terzo giudizio d’appello, però, ha accontentato le richieste degli Ermellini: il 26 settembre del 2017, infatti, i giudici reggini hanno riconosciuto le attenuanti generiche, riducendo di sei mesi la condanna inflitta a Macrì. Sono diversi gli elementi che i giudici si sono trovati per le mani, prima di decidere. A partire dalla distruzione dell’auto prima che potessero essere effettuate perizie più approfondite, la lettera di scuse inviata solo ai giudici – e mai alle famiglie – poco prima della sentenza, ma anche un’altra condanna per rissa a carico del giovane imputato.
La demolizione dell’auto. Secondo la difesa – e anche secondo la Cassazione – la distruzione dell’auto da parte dei genitori dell’imputato non rappresenterebbe un gesto malizioso. Ma, hanno evidenziato le parti civili nel corso del processo, l’ipotesi che un giudice potesse disporre una perizia era molto probabile, soprattutto per vie del contrasto tra le perizie dell’accusa e della difesa. Quello della famiglia Macrì, secondo le parti civili, sarebbe stato, dunque, un «gesto doloso»: all’udienza del 9 dicembre 2009, infatti, era stato disposto il sequestro dell’auto per le operazioni peritali, previste il 5 gennaio 2010. L’auto, custodita presso un deposito giudiziario a Locri, secondo le parti civili sarebbe invece stata «“tempestivamente” distrutta nel tempo intercorrente tra l’udienza del 9 dicembre 2009 e l’inizio delle operazioni peritali, nonostante il provvedimento di sequestro del mezzo».
La lettera di scuse. Due anni dopo l’incidente, Macrì consegnò una lettera nella quale chiedeva perdono. Una lettera, però, diretta solamente al giudice e non alle famiglie. Secondo le parti civili, «l’unica cosa che si è limitato a fare, per evidenti ragioni di opportunità, è stato produrre, per il tramite dei propri avvocati, un memoriale diretto al giudice, dal quale, più che la sua resipiscenza per la tragedia causata, si evince la preoccupazione per la propria sorte che la sentenza, di lì a poco, sarebbe andata a definire ma, soprattutto, la smentita della ipotesi di presunto abbagliamento».
La condanna per rissa. Nel corso del processo, inoltre, Macrì è stato condannato in via definitiva anche per un altro reato, ovvero una rissa avvenuta a marzo 2012. Ed è per questo motivo che la Corte di Appello non concesso le attenuanti generiche nella loro massima previsione legislativa, ritenendo che «deve tenersi in considerazione che l’animo evidentemente inquieto del Macrì non ha trovato definitiva presa di coscienza neppure dopo una simile tragedia di proporzioni francamente incolmabili per tutti e soprattutto per i familiari, essendosi egli reso responsabile di un ulteriore delitto dimostrativo di questa sua natura ribelle e poco incline al rispetto delle regole del vivere sociale».
Il ricordo delle vittime. Il processo, dunque, dopo 10 anni è finalmente finito e per Macrì adesso dovrebbero aprirsi le porte del carcere. Ma il ricordo dei tre ragazzi, assieme allo stesso dolore di quel giorno, rimane vivo nella memoria dei cittadini di Siderno, che il 15 giugno di ogni anno ricordano i tre ragazzi. Per il decennale della loro scomparsa, nel luogo in cui è avvenuto l’incidente, è stato scoperto un monumento in memoria dei tre ragazzi e di tutte le vittime di incidenti stradali, mentre è iniziato il processo di intitolazione del largo alle tre giovani vittime.