Domani Mimmo Lucano verrà ascoltato in Procura
Notizia tratta da: newz
Reggio Calabria. Domenico Lucano verrà ascoltato come persona informata sui fatti dal procuratore aggiunto della Dda, Giuseppe Lombardo. Un incontro che avverrà domani pomeriggio, per discutere, forse, degli esposti presentati nei mesi scorsi proprio alla DDA dal primo cittadino, ora sospeso, di Riace, che era dovuto passare alla denuncia per ottenere i documenti relativi alla seconda visita ispettiva effettuata dalla Prefettura di Reggio Calabria, i cui esiti erano rimasti, per lungo tempo, un mistero. Lucano, costretto al divieto di dimora a Riace dopo l’indagine che lo vede accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e irregolarità nell’assegnazione dell’appalto per la raccolta differenziata, reduce dalla manifestazione di ieri a Roma contro il decreto Salvini, preferisce non sbilanciarsi troppo sulle ragioni che hanno spinto il magistrato reggino a convocarlo al Cedir. Ma ad avvalorare l’idea che l’oggetto della discussione siano proprio le ispezioni effettuate a Riace negli ultimi due anni sono proprio quegli esposti presentati alla distrettuale antimafia nei mesi scorsi per ottenere la relazione nella quale il modello Riace veniva riabilitato, a dispetto del disastro burocratico emerso dalla prima ispezione. Una relazione arrivata sulla scrivania del sindaco soltanto dopo la denuncia e che ha cambiato le carte in tavola, pur non servendo alla causa di Lucano.
Il mito di Mimmo il curdo, il sindaco dell’accoglienza, era stato distrutto dalla prima relazione, con parole che condannavano il suo modello utopico, fatto di relazioni umane più che di numeri, disegnandone con accuratezza limiti e storture fino ad esasperarli. Parole che, nella seconda relazione, mettevano invece accuratamente a posto ogni mattone di quella costruzione perfetta che era il suo modello. Il primo documento – quello che lo ha fatto finire sul registro degli indagati con le accuse di concussione, truffa aggravata e abuso d’ufficio – aveva evidenziato diverse criticità amministrative e gestionali. L’affidamento diretto dei servizi, ad esempio. Ovvero senza bandi, una pratica che la Prefettura ha bocciato, dopo avere per anni – aveva replicato Lucano – invocato questo metodo con «continue ed impellenti richieste» di posti straordinari da attivare «con immediatezza» per sistemare quanti più migranti possibile. Insomma, non c’è stato sbarco, in provincia di Reggio Calabria, per il quale la Prefettura non abbia chiesto subito una mano a Riace bypassando i tempi di un bando.
Un aiuto per il quale, al termine della seconda relazione, la Prefettura stessa ringrazia. Ma per avere quei fogli ci è voluto molto. Lucano ci ha provato più volte, con formali richieste di accesso agli atti. Richieste puntualmente respinte con un “non è dovuto”. Poi, però, ha cambiato registro, passando alla denuncia. Ed ecco arrivata, dunque, la seconda relazione, un tripudio di colori, quasi una poesia dedicata al borgo dell’accoglienza. E forse è proprio su questo che Lombardo, domani, chiederà conto a Lucano, che nonostante tutto si è visto bocciare dal Viminale il progetto d’accoglienza, decretandone la chiusura.
Su quella relazione Lucano aveva chiesto spiegazioni ai vertici della Prefettura di Reggio Calabria anche a Roma, nelle stanze del Viminale, dove però si era sentito dire che quel documento che tanto bramava «non cambiava nulla». Ma così non è, se è vero, come è vero, che in quelle pagine i funzionari restituiscono a Riace i suoi connotati, quelli studiati in tutto il mondo. Quella relazione, un anno dopo esser stata redatta, racconta di Riace come una favola, un posto strano e straordinario fatto di «un miscuglio di razze, dialetti, diademi e treccine».
La penna diventa meno affilata e più dolce. E descrive con una carezza i campi di pallavolo e calcetto dove si giocano partite «all’ultimo respiro» e dove la palla al centro è una lingua che non conosce stranieri. Racconta la scuola un tempo chiusa, di nuovo aperta grazie a facce di ogni colore. «Una scuola senza bambini – scrivono i funzionari cacciando a spallate la burocrazia – è la conclusione ingloriosa di un mondo, un universo senza futuro. Riace ha una scuola, degli insegnanti, dei ragazzi che apprendono». Riace ha speranza, dunque. Ce l’ha in quelle case che non sono ville, «non sono gli hotel nei quali si fa business sulle spalle dei disperati» – dice con veemenza Lucano – ma, gli fanno eco gli ispettori, «case vecchie e umili, di origini umili, ma pulite, ordinate, venate dalla mescolanza di uomini e donne di provenienza disparata e che portano in quelle case un piccolo tocco della terra natia». Ci sono poi le botteghe artigiane dove si lavorano il vetro, la lana, il legno, i tessuti e molto altro. Lavori ormai perduti, rinati a Riace, dove un ragazzo del posto e un suo fratello venuto da lontano indossano la stessa uniforme per guadagnarsi da vivere con «mestieri antichi, di una bellezza mai spenta». Poco distante dall’intreccio di viuzze che rappresenta il nervo del centro storico sorge un’area destinata alla coltivazione, da parte di ciascun migrante, del proprio orto, per riempire le proprie dispense. «Riace è anche questo – spunta ancora tra i fogli – l’inventiva legata alla tradizione, l’idea di recuperare spazi per lavorare la terra e sfamare i propri familiari con quello che la fatica delle mani riesce a realizzare». Ed è anche un tripudio di profumi e sapori che vengono da lontano, «un microcosmo strano e composito – dicono i funzionari – che ha inventato un modo di accogliere e investire sul proprio futuro». Che ha inventato un modo per non morire, per ricominciare a fare. Lo dicono loro, i burocrati, che si spogliano del rigore imposto dal ruolo per l’urgenza di raccontare una storia che altrove non esiste, la storia di Riace e di Lucano. Un uomo, ammettono, «che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita», in una realtà «che non appartiene alla storia del paese ma che ha realizzato mattone su mattone, con fatica e impegno». Impossibile, dicono anche loro, «un controllo ferreo di tutte le attività svolte». Servono, recitava dunque la relazione, degli interventi correttivi. Ma con un’azione «di supporto», non chiudendo tutto, perché, giurano, «l’esperienza di Riace» è importante «per la Calabria e segno distintivo di quelle buone pratiche che possono far parlare bene di questa regione». Con quelle stesse parole che a lungo, e non si sa bene perché, sono state tenute nascoste. Un perché che, forse, finalmente sarà chiarito.
Simona Musco