Ponte Allaro: “Vietato fare manutenzioni!”
Ancora una volta si torna a parlare di ponti. Stavolta in Calabria nei pressi del centro abitato di Caulonia (Rc), lungo la S.S. 106 Jonica (E90) un’arteria fondamentale che partendo dal versante Sud-Orientale dell’Aspromonte collega l’area jonica Catanzarese con la Puglia e l’A14. Costruita nel 1928 il suo percorso iniziale partiva da Reggio Calabria per arrivare fino a Crotone, ma grazie ai lavori negli anni successivi è oggi prolungata fino alla Puglia. Il suo tracciato, si snoda lungo la costa scavalcando alvei di fiumare. Esse sono brevi corsi d’acqua assimilabili a torrenti, tipici dell’Italia Meridionale caratterizzati da alvei ampi e ciottolosi con ingenti portate d’acqua nei periodi invernali e lunghi periodi di secca estivi. Una via di mezzo fra un fiume e un torrente. Proprio per l’attraversamento di queste fiumare la statale jonica vede la presenza di numerosi ponti fra i quali il Ponte sull’Allaro.
La struttura, costruita negli anni ’50, affiancata da un’analoga opera ferroviaria, nelle settimane scorse ha lanciato segnali molto forti sulla fine del proprio ciclo di vita. Dapprima la subsidenza di una campata, e quindi l’inclinazione permanente di una carreggiata stradale, hanno reso il ponte talmente malconcio da non essere quasi più percorribile. La situazione attuale, al Luglio di quest’anno, vede la struttura aperta grazie all’impiego di un impianto semaforico che ne limita la percorrenza al traffico con un passaggio a senso unico alternato. Le responsabilità si rimbalzano fra gli uffici competenti ma l’unico dato certo è che il ponte, e quindi la sua manutenzione, risulta inequivocabilmente in capo all’A.N.A.S. ente che, evidentemente per troppi anni, ha confidato nella buona sorte e che ora tende a smorzare i toni. Infatti se da un lato dichiara il ponte come sicuro e affidabile, dall’altro istituisce il senso unico alternato, una metodologia che quando applicata ha lo scopo di scaricare e alleggerire le campate. Inoltre, come scrupolo ulteriore, sistema due addetti alla sorveglianza della struttura. Come se non bastasse, lo stesso ente, in qualche ora applica una serie di sensori con lo scopo di monitorare le sollecitazioni meccaniche della struttura. Se fossimo in campo medico, A.N.A.S. sarebbe il Primario che ricovera d’urgenza un paziente nel reparto terapia intensiva, monitorandone l’attività fisica ventiquattr’ore su ventiquattro. Hai voglia a raccontare che stia bene!
La vicenda ricorda molto quella del Ponte sul Pò nei pressi dell’abitato di Casalmaggiore al confine con il territorio Parmense. Un ponte costruito negli anni ’50, unica arteria fra Emilia e Lombardia, che negli anni ha subito manutenzioni scarse o insoddisfacenti, anch’esso giunto a fine ciclo di vita. Identico il copione recitato dall’A.N.A.S. che in una prima fase giura sull’affidabilità della struttura ma improvvisamente lo chiude al traffico e ne monitora lo stato posizionando i sensori in alcuni punti di appoggio. Le situazioni sono assimilabili. Oltre al disagio dei cittadini, anche il Ponte sull’Allaro in Calabria, rappresenta l’arteria stradale che tiene in vita l’attività economica della zona. Chiuderlo significherebbe azzerare gl’introiti economici di un territorio che utilizza tali infrastrutture per garantire lo scambio delle merci, il collegamento fra paesi limitrofi, il passaggio del turismo e le conseguenti positive ricadute economiche sul territorio. Ragionando invece dal punto di vista tecnico la situazione è ben più grave. Al momento della progettazione, ad ogni opera, viene attribuito un cosiddetto “ciclo di vita utile” cioè viene calcolato un periodo di tempo oltre il quale il suo impiego non potrà essere più considerato sicuro. Si decide cioè per quanto tempo si potrà utilizzare la struttura e si progetta secondo quel criterio. La legge attuale prevede che questo range di tempo sia almeno di cinquant’anni per le opere normali e non meno di cento anni per le cosiddette Grandi Opere. Negli anni ’50 non si prevedevano periodi di vita così lunghi. Il ponte sull’Allaro, e quello sul Pò, come molte e analoghe infrastrutture in Italia hanno oltrepassato quel periodo di tempo previsto per essere utilizzate. Le opere hanno retto molto più di quanto fosse stato loro richiesto nel progetto. Infatti hanno garantito un traffico veicolare neppure paragonabile a quello che, attualmente, si trovano a sopportare. Si aggiunga che la costruzione è avvenuta in anni nei quali, la tecnologia del tempo, permetteva controlli e una qualità dei calcestruzzi decisamente inferiori a quelli attuali.
È mai possibile che ci si debba ridurre a intervenire pochi istanti prima del crollo? Il Ponte sull’Allaro rivela chiarissime patologie derivanti dalla vecchiaia anche con un semplice esame visivo. La carbonatazione è resa evidente dall’espulsione del copriferro in più punti. La ruggine delle barre è evidente, crepe e distacchi di calcestruzzo sono numerosi. Sono state eseguite alcune iniezioni al di sotto della struttura per cercare di fermare l’abbassamento, ma i rimedi eseguiti frettolosamente in emergenza non sempre danno i risultati sperati. Come ho già avuto modo di spiegare il materiale costituente queste opere è il cemento armato, cioè un’armatura costituita da barre di ferro annegate nel calcestruzzo. L’inquinamento presente nell’atmosfera produce particelle di zolfo e anidride carbonica, solubili in acqua, che raccolte dalle gocce di pioggia vengono depositate sulla superficie del manufatto. L’acqua, a lungo andare, penetra il calcestruzzo veicolando i composti inquinanti, attaccando dall’interno il cemento armato. Per una serie di reazioni chimiche tali composti si trasformano in due acidi, quello carbonico e quello solforoso che arrugginiscono le barre di ferro all’interno del calcestruzzo. Una barra di ferro che si altera aumenta il proprio diametro e, ingrossandosi, spinge così tanto lo strato di calcestruzzo che la ricopre da creparlo e distaccarlo. Questo processo, una volta innescato, non è più reversibile e anzi progredisce con velocità maggiore. In questo caso abbiamo anche la vicinanza del mare che arricchisce l’aria con minuscole particelle di cloruro, elemento dannoso che amplifica il processo degenerativo aggiungendo il suo avvelenamento a quello di zolfo e anidride carbonica.
Lo stato del Ponte sull’Allaro, come quello del Ponte sul Pò, non si raggiunge in poche settimane ma con anni di piogge e temporali ma soprattutto con i responsabili che ignorano, o peggio ancora non sanno riconoscere, quei segnali di degrado evidenti sulla struttura. Non si eseguono le manutenzioni e magari neppure banali analisi chimiche, ogni dieci anni, che rivelerebbero lo stato di salute del cemento armato. Alla fine di tutte queste “dimenticanze” ci si ritrova allo stato attuale con ponti che rischiano di crollare sotto il proprio peso, che vengono sottoposti a monitoraggio continuo nel preciso istante in cui li si dichiara solidissimi e sui quali nella migliore delle ipotesi si prospetta una lunga chiusura necessaria al loro “incerottamento” raramente all’eventuale rifacimento. Tutto questo ricade sempre sui cittadini. Loro pagano il prezzo delle chiusure al traffico, dei rifacimenti e delle manutenzioni. Introiti economici che cessano come il traffico veicolare e con essi i guadagni delle attività. Si genera una vera e propria distruzione del territorio.
Ma non sarebbe ora di finirla? Serve una politica di pianificazione a lungo termine, che si faccia carico delle situazioni con responsabilità e capacità. Che si avvalga di tecnici competenti con ampia libertà d’azione ma ai quali si attribuiranno precise responsabilità in caso d’inadempienza o palese incompetenza.
Da qualche settimana sono entrate in vigore le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC), un vademecum sul come fare, cosa controllare e come costruire in Italia. Quelle precedenti risalgono al moto d’animo generato dal sisma in Abruzzo. All’interno di questo immenso manuale ancora una volta, non sono istituite figure professionali adeguate ai controlli, alle progettazioni dei calcestruzzi e alle verifiche in cantiere. Come sempre non si parla del “tecnologo del calcestruzzo” figura, di fatto, presente all’estero.
In Italia, Paese degli Ordini Professionali e degli Albi, i dati per la verifica statica del Ponte Allaro, per esempio, possono essere ricavati da chi abbia seguito un corso d’istruzione sull’utilizzo del metodo SonReb, ma non abbia mai sostenuto gli esami di verifica alla propria preparazione. Mentre per i pochi tecnici coscienziosi che abbiano deciso di sostenere le sessioni d’esame superandole, non esiste un albo di appartenenza. Per tornare al campo medico, è come se si abilitasse alla cardiochirurgia uno studente che pur avendo assistito alle lezioni universitarie non abbia mai sostenuto gli esami di medicina. Nuove leggi, soliti vecchi metodi.