La narrazione capovolta delle migrazioni
Notizia tratta da: comune-info
Tra una notizia sul governo e quella sullo spread non sono mancate in questi giorni enfatizzazioni sugli ultimi soccorsi ai migranti in mare e attacchi contro le Ong, accusate ancora una volta di agevolare il traffico di esseri umani, malgrado le reiterate decisioni perfino della magistratura, che qualifica la Libia come un paese privo di luoghi sicuri di sbarco. Intanto, ma questo non fa notizia, continuano i respingimenti alle frontiere interne, come a Ventimiglia. Vogliono rilanciare “l’allarme su una invasione che non si vede, ma che serve per aumentare il consenso elettorale”, spiega Fulvio Vassallo. Del resto, i dibattiti politici e le scelte delle cariche istituzionali si sono ben guardati dal mettere in discussione la proposta di deportare mezzo milione di migranti: è ormai accettato che si possano dispiegare le forze di sicurezza per circondare, arrestare e deportare migliaia di persone, colpevoli di cercare una vita più dignitosa. Il compito di contrastare la “narrazione capovolta” contro i migranti, e chi li assiste, in terra o in mare “passa dall’impegno quotidiano di tante persone in carne e ossa, capaci di vivere questo tempo senza accettare le ricorrenti mistificazioni e i continui richiami alla logica del nemico…”
Il “surriscaldamento” del clima politico sta riproponendo l’ennesimo capovolgimento della narrazione dei fatti concernenti le più importanti questioni di politica estera e interna, con particolare riferimento ai temi della migrazione e dei rapporti con i paesi terzi, ai quali si affida da tempo il compito di intercettare i migranti e impedire che possano raggiungere l’Europa. Si enfatizzano anche gli ultimi soccorsi in mare, oltre 4.000 persone salvate negli ultimi giorni, per rilanciare l’allarme su una invasione che non si vede, ma che serve per aumentare il consenso elettorale. E dietro gli allarmi per gli “sbarchi” si ripropongono gli attacchi contro le Organizzazioni non governative, accusate ancora una volta di agevolare il traffico di esseri umani, malgrado le reiterate decisioni della magistratura giudicante, che qualifica la Libia come un paese privo di luoghi sicuri di sbarco.
Siamo in guerra. Prima era guerra contro i migranti, ai quali si voleva impedire di raggiungere le nostre coste, sia pure per presentare una richiesta di protezione, e che in territorio italiano venivano additati come il “nemico interno”, una guerra che avevamo previsto si sarebbe presto estesa all’intero corpo sociale. Poi è stata guerra, piuttosto che alle povertà, ai poveri, ai giovani senza lavoro, alle classi economicamente più deboli, mentre il divario sociale all’interno della nostra società si ampliava giorno dopo giorno. L’intera campagna elettorale, ed i tentativi di formare un nuovo governo si sono giocati su uno scarto crescente tra promesse, come l’espulsione di oltre 600.000 “clandestini”, e gli obiettivi effettivamente realizzabili. Neppure Frontex sarà in grado di garantire una minima parte di queste espulsioni. Sarà ben difficile che le regioni, anche quelle a guida leghiste, accettino l’apertura di decine di centri di detenzione per irregolari sul loro territorio. I paesi terzi chiederanno cifre impossibili per garantire qualche centinaio di rimpatri con accompagnamento forzato all’anno, ma tutto questo viene tenuto nascosto all’opinione pubblica. Vedremo come e quando l’Unione Europea troverà davvero le risorse per finanziare paesi falliti come la Libia o quello che ne rimane. Il modello dell’accordo UE-Turchia non è replicabile con le autorità di Tripoli e Bengasi, che dipendono da decine di milizie in conflitto tra loro.
Adesso è guerra di tutti contro tutti, di fronte a una crisi finanziaria senza fondo, indotta anche dai devastanti attacchi che i partiti vincitori delle ultime elezioni hanno rivolto al nostro sistema costituzionale. Come succede in questi passaggi storici, come è successo nel secolo scorso, la prima vittima di questo scontro è la verità, manipolata da ciascuna delle parti in lotta per dimostrare la fondatezza delle proprie posizioni e per raccogliere maggiori consensi. Lo sbocco di questo tipo di crisi può consistere in una svolta autoritaria, magari con l’avallo di un vasto consenso elettorale. I diritti di cittadinanza e le prestazioni sociali non possono essere oggetto di scambio con i diritti umani e con i diritti di libertà sanciti dalle Costituzioni democratiche e dalle Convenzioni internazionali. Gli accordi con gli stati per “combattere l’immigrazione irregolare” non possono violare i diritti fondamentali che spettano a tutti gli esseri umani, ovunque siano nati e ovunque si trovino.
In queste giornate di grande confusione istituzionale occorre ricordare come la “questione Libia” abbia pesato in modo determinante sul posizionamento della politica estera italiana, prima con gli accordi tra Berlusconi e Gheddafi, e poi nel costante tentativo dei governi Renzi e Gentiloni, di inserire il governo di Tripoli nell’ambito dei processi di esternalizzazione delle frontiere, “benedetti” dai vertici dell’Unione Europea, soprattutto dopo l‘Agenda europea sulle migrazioni del 2015. Una scelta che è costata migliaia di vittime in mare, ed a terra, nei lager libici, senza distinzioni possibili tra i centri governativi e quelli gestiti dalle milizie. Una “Agenda” che mirava a ricacciare indietro i migranti in fuga dalla Libia, anche se veniva all’indomani della più grande tragedia del Mediterraneo, con oltre 800 vittime. Da allora un primo ribaltamento del senso della narrazione, dopo tante vittime, piuttosto che aprire canali legali di ingresso e missioni di soccorso in acque internazionali, la scelta di insistere sugli accordi per il respingimento dei migranti in mare e per incrementare i rimpatri forzati e il numero dei centri di detenzione amministrativa. Accordi che sono stati conclusi con autorità di governo e milizie, come si è verificato in Libia, che non hanno certo garantito i diritti umani ed i corpi delle persone che venivano intercettate prima del loro arrivo in Italia.
Adesso l’iniziativa del governo Macron, con la Conferenza di Parigi che si è svolta oggi, aggiunge altra confusione ad una situazione che sembra sfuggire di mano a tutti gli attori internazionali presenti sulla scena libica. Una partita alla quale non sono estranei gli interessi delle grandi potenze (Russia, Cina e Stati Uniti) che hanno tutto l’interesse a ridimensionare il ruolo dell’Unione Europea. La questione libica andava e va risolta a livello di Nazioni Unite e non saranno certo appuntamenti “regionali” come il vertice di Parigi, per sbloccare processi di riconciliazione che appaiono, allo stato dei risultati del vertice parigino, sempre più incerti. È mancata del tutto una politica estera comune dei diversi paesi appartenenti all’Unione Europea, ed il vertice di Parigi ne costituisce una ennesima conferma. In Libia si profila un’altra guerra, anche se raccontano di elezioni già stabilite per il mese di dicembre.
Di certo appare sconfitta la politica di “normalizzazione” della Libia, portata avanti dall’Italia sulla base di relazioni bilaterali, come il Protocollo d’intesa del 2 febbraio 2017, e poi intensificata con gli accordi con la Guardia costiera libica e con l’invio di ONG italiane in alcuni centri di detenzione libici. Malgrado il forte calo degli sbarchi, i corpi dei migranti che ancora continuano ad arrivare dalla Libia testimoniano il fallimento di una intera politica basata sugli accordi con milizie di incerta provenienza e sulla delegittimazione delle attività di soccorso in acque internazionali. Eppure la narrazione continua ad essere rovesciata, e nelle dichiarazioni del nostro ambasciatore a Tripoli sembrerebbe che i risultati positivi siano ormai a portata di mano, e che l’unico problema sia costituito dalle ONG. Si vantano successi inesistenti sia dal punto di vista del contenimento degli “sbarchi”, che sotto il profilo del rispetto dei diritti umani in Libia. Una valutazione smentita frontalmente dai più recenti rapporti delle Nazioni Unite. Mentre l’ambasciatore italiano a Tripoli dichiarava ieri che senza una Costituzione generalmente condivisa in Libia non si può andare alle elezioni, dalla Conferenza di Parigi arriva un segnale nettamente opposto che lo smentiva. Mentre Salvini ribadisce la chiusura dei porti italiani.
Sul piano del governo delle migrazioni a livello nazionale appare evidente come i tentativi di demolire il diritto di asilo, di ampliare i tempi e gli spazi di detenzione amministrativa per i migranti irregolari, di criminalizzare le attività delle ONG rendendo sempre più difficili le attività di ricerca e soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale, tentativi già portati avanti da Minniti, saranno rinnovati ed inaspriti nei prossimi mesi, anche nell’immediato, a livello di apparati dello stato che non rispondono ad un governo nel pieno dei poteri. Una situazione gravissima che può anticipare una svolta autoritaria che, dopo avere colpito i migranti, potrebbe estendersi a tutti i cittadini italiani. Dietro l’apparente moderazione di Salvini si celano proposte che quando saranno operative comporteranno una sostanziale restrizione delle garanzie e dei diritti di libertà previsti dalla Costituzione.
Anche sul terreno interno il capovolgimento di senso della narrazione che riguarda i migranti è totale. La libertà dei mezzi di informazione è sempre più condizionata, neppure la Guardia costiera italiana comunica dei soccorsi in atto con le stesse modalità adottate negli anni precedenti, la Marina militare tace sulle attività di coordinamento svolte da Tripoli. Scompare dalle cronache il default del sistema di accoglienza basato sui CAS ( Centri di accoglienza straordinaria) convenzionati con le Prefetture, si nasconde lo sfruttamento sistematico al quale sono sottoposti i lavoratori e le lavoratrici migranti, mentre si esaltano gli episodi di criminalità che diventano pretesto per giustificare vere e proprie campagne d’odio.
Le proposte contenute nel “Contratto di governo” in materia di asilo ed immigrazione hanno un contenuto fortemente discriminatorio, con una rappresentazione delle migrazioni tutta incentrata sulla “sicurezza”. Si prevede un trasferimento di risorse dal sistema di accoglienza alle procedure di espulsione forzata che prelude ad una moltiplicazione della condizione di “clandestinità”, ed a una diffusa conflittualità sui territori. Si nasconde che l’Italia ha adottato politiche di sbarramento per corrispondere alle richieste sempre più pressanti giunte da Bruxelles con i Migration Compact, sperando in un allentamento delle regole stabilite dal Regolamento Dublino. Si sperava anche che il “buon lavoro” fatto dal ministro Minniti con le autorità di Tripoli fosse ricompensato da un allentamento dei vincoli di bilancio stabiliti da Bruxelles. Un’attesa che è andata delusa. Mentre continuano i respingimenti alle frontiere interne (come a Ventimiglia) e i trasferimenti in Italia di richiedenti asilo denegati da altri paesi europei. Adesso Salvini chiede all’Europa di cambiare, ma ancora in peggio, le regole stabilite dall’Unione Europea, e la prima vittima designata di queste richieste sono proprio i richiedenti protezione internazionale. Il leader leghista insiste su dati visibilmente falsificati.
La narrazione capovolta delle migrazioni è cominciata da tempo, con gli attacchi alle ONG, ma i residui brandelli di libera informazione o le associazioni e le Organizzazioni non governative sono state in grado di restituire verità alle vittime di queste politiche ed chi voleva andare oltre i resoconti ufficiali. Malgrado tutto, anche sul piano della difesa legale, si è riusciti a contrastare efficacemente prassi illegittime che venivano applicate nell’esame delle domande di protezione e nella organizzazione dei voli di rimpatrio. Si è arrivati anche ad importanti sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per censurare norme interne che penalizzavano il soggiorno irregolare ed estendevano a 18 mesi la detenzione amministrativa. Come vorrebbe fare adesso la Lega di Salvini. Questa Europa ha imposto regole democratiche che un governo nazionale voleva trasgredire. Si sta determinando oggi un tale concentramento di poteri in capo ai leader dei partiti populisti, che potrebbe ripercuotersi sull’assetto del governo e sulle scelte parlamentari, anche attraverso il ricorso ai decreti legge, in settori, come l’immigrazione e l’asilo, nei quali la “narrazione capovolta” ha già prodotto effetti devastanti a livello di consenso elettorale.
Non si vedono ancora all’orizzonte formazioni politiche sufficientemente forti da contrastare in parlamento una maggioranza che contrappone i diritti umani ai diritti di cittadinanza, ed individua nei migranti il capro espiatorio di tutto il malessere sociale. Il compito di contrastare la “narrazione capovolta” contro i migranti, e chi li assiste, in terra o in mare, passa dall’impegno quotidiano di tante persone in carne ed ossa, capaci di vivere questo tempo senza accettare le ricorrenti mistificazioni ed i continui richiami alla logica del nemico. L’aggregazione di queste persone attorno alle associazioni ed alle ONG sotto attacco dovrà costituire nuclei di resistenza a livello territoriale, anche in sinergia con gli enti locali che si renderanno disponibili. Comunque si arrivi ad un governo che metta al centro la questione migrante in chiave sicuritaria per garantirsi consenso, la difesa dei diritti dei migranti coinciderà con la difesa dello stato di diritto e della democrazia in Italia.
Fulvio Vassallo Paleologo