Il bambino che dormiva in una valigia
Una delle meraviglie dell’infanzia è che ci si addormenta ovunque: anche dentro una valigia, anche nel bel mezzo di una guerra.
Una foto, diventata virale in questi giorni, mostra un bambino siriano addormentato in una valigia trasportata a mano dal padre mentre scappa tra le macerie.
Un’immagine che non necessita di parole ma di cui al contempo è doveroso parlare, affinché non vinca l’indifferenza.
Per un bambino, dormire in terra di guerra può rappresentare una salvezza, una via di fuga: gli occhi si chiudono come a non voler vedere le atrocità di cui l’uomo è capace, e ci si abbandona al sonno rivendicando il proprio diritto a sognare.
Per gli adulti, chiudere gli occhi in questo caso significa voltarsi dall’altra parte, ignorare volontariamente la disumana realtà di un conflitto in cui non si contano più le vittime.
Accade però che, guardando il telegiornale o leggendo un quotidiano, ci si trovi a dover fare i conti con l’immagine di un bambino che dorme in una valigia: in quel momento tutto cambia, ci si sente arrabbiati eppure impotenti, responsabili eppure innocenti.
Per un attimo si avverte l’impulso di fare qualcosa che vada oltre la semplice commozione ma, non sapendo che cosa fare, ci si aggrappa alle proprie rassicuranti certezze quotidiane, per fingere che sia tutto sotto controllo e continuare a vivere senza sensi di colpa. È un meccanismo di autodifesa o di egoismo, o probabilmente entrambe le cose.
Una delle meraviglie dell’infanzia è che ci si addormenta ovunque.
Chissà che mondo ha sognato, quel bambino, mentre dormiva dentro una valigia, nel bel mezzo di una guerra.