Attraverso le sue canzoni Fabrizio De André ha raccontato la vita, la società e l’uomo, cogliendone fragilità, vizi, paure. Ha evidenziato le contraddizioni del potere guardando il mondo dal punto di vista degli ultimi, i quali, proprio per l’imperfezione della loro esistenza, meritano attenzione anziché emarginazione, comprensione anziché giudizio (o pregiudizio).
Le canzoni di De André sono immortali proprio perché capaci di descrivere la complessa natura dell’essere umano il quale, se da un lato rimane schiavo delle proprie connaturate debolezze, dall’alto ambisce, costantemente e talvolta addirittura inconsapevolmente, alla libertà.
Quella libertà che “Faber” ha cantato in tutte le sue sfumature.
Mosso dalla convinzione dell’importanza sempre viva delle sue canzoni nonché, lo ammetto, da una personale passione per il suo lavoro, ho pensato di proporre tramite Ciavula una rubrica dal titolo “De André, secondo me…”.
All’interno di tale spazio cercherò di analizzare alcuni testi del cantautore genovese per riproporne i temi principali, nel tentativo di fornire spunti di riflessione anche e soprattutto in chiave attuale.
Ci tengo a precisare che l’iniziativa non ha alcuna pretesa di veridicità: De André è stato studiato da persone molto più competenti di me.
L’obiettivo è bensì quello di affrontare i vari argomenti partendo da una chiave di lettura soggettiva e pertanto volutamente opinabile, con l’auspicio di suscitare nei lettori curiosità, attenzione ed eventualmente desiderio di confronto.
Tra pochi giorni sarà proposta su Ciavula la prima canzone, vale a dire “La guerra di Piero”; successivamente verranno trattate le altre, per un totale di 5/6 canzoni.