Era il 1 maggio del 1907, quando a Sestri Levante i volti di uomini e donne inneggiavano al lavoro davanti al primo comizio della Camera del lavoro; era il 1 maggio del 1956, quando a Milano si tenne la manifestazione internazionale dei lavoratori cattolici; era lo stesso giorno, quando un corteo di manifestanti scese dagli autobus dirigendosi verso Piazza Duomo, dove da un elicottero venne fatta atterrare la statua del Cristo lavoratore; era il 1 maggio del 1968, quando un corteo di studenti si diresse verso Piazza San Giovanni, muniti di cartelli, bandiere e striscioni politici. Queste alcune delle tappe fondamentali della nostra memoria civile e storica.
Ed oggi? Probabilmente, è il 1 maggio del lavoro precario, di quanti hanno deciso che qui non c’è più posto per poter restare, di coloro che cercano disperatamente qualcosa per rimanere, di chi si è arreso ancor prima di cominciare. Oggi è il 1 maggio delle giornate lavorative di dodici ore di cui nessuno sa niente, del lavoro in nero di cui nessuno parla, dei bambini sfruttati nel mondo per un pezzo di pane; è il 1 maggio delle morti bianche, dei padrini e dei padroni, dei diritti calpestati. Ma è anche il 1 maggio di chi decide di restare, di chi lotta, di chi inventa e costruisce, di chi crede e non si arrende, di chi sceglie, di chi spera. Aldilà della retorica e della poesia, oggi è storia del passato e del presente, un giorno per cui il pane dovrebbe essere grande come il sole, motivo di riflessione, qualcosa da non dimenticare.