L’uomo ha un rapporto strano con il tempo.
È consapevole di averne a disposizione una quantità limitata, eppure si sente inconsciamente padrone di poterlo sprecare, di rimandare.
Tutto si sistema, c’è tempo.
L’essere umano è fragile ma si sente invincibile: non è una colpa, ma semplicemente una forma di autodifesa, forse l’unico modo per vivere dignitosamente questa vita che a volte sa essere davvero crudele.
Ho appreso la notizia della morte improvvisa di Kevin, un ragazzo di Caulonia.
Non aveva neanche vent’anni.
Personalmente lo conoscevo poco, ma certe notizie lasciano comunque il segno.
A quell’età dovrebbe esserci posto solo per il futuro, per i progetti, per la spensieratezza.
A quell’età il tempo dovrebbe essere un diritto, una pretesa.
A quell’età, la morte non dovrebbe neanche essere presa in considerazione.
Ma c’è una grande ingiustizia di fondo nel nostro rapporto con il tempo: non sappiamo quanto ce ne venga concesso, non c’è una logica precisa a cui aggrapparsi.
Possiamo solo vivere pienamente, completamente, cercando di dare qualità ai nostri giorni.
È morto un ragazzo di 19 anni.
Siamo in dovere di fermarci, di essere tristi, arrabbiati.
Siamo in dovere di ricordare quanto il nostro tempo sia prezioso.
Ed ogniqualvolta ci permettiamo il lusso di sprecarlo, dovremmo sentirci in colpa.