‘Ndrangheta: don Pino Strangio indagato per concorso esterno
di Alessia Candito
Non è un mafioso, ma per i magistrati ha “contribuito al rafforzamento dell’associazione”. Per questo don Pino Strangio, carismatico e controverso canonico di Polsi, il santuario conosciuto come feudo spirituale dei clan di tutto il mondo, è formalmente indagato per concorso esterno, come per violazione della Legge Anselmi, la norma che punisce la costituzione di associazioni segrete. La procura ha chiuso le indagini, atto che precede la richiesta di rinvio a giudizio.
Per i magistrati della Dda di Reggio Calabria c’è anche il religioso fra i componenti dell’associazione segreta di tipo massonico messa in piedi dall’avvocato Paolo Romeo, ex deputato del Psdi, e dal collega Giorgio De Stefano per influenzare “le dinamiche decisionali degli enti locali e alcune vicende economiche di massimo livello per la locale asfittica economia”.
Entrambi da mesi in carcere come elementi di vertice della cupola della ‘ndrangheta, per i magistrati i due avrebbero nel tempo legato a sè avvocati, giudici, sacerdoti, faccendieri, professori, uomini della pubblica amministrazione, militari.
“Figure di assoluto rilievo – così li definiscono i pm – usate da Romeo e De Stefano per “concentrare su di sé e gestire i più svariati interessi dei numerosissimi soggetti che, a vario titolo, si rivolgono a loro individuandoli quali mediatori di rango delle vicende politiche, economiche, amministrative e giudiziarie della città e della provincia”.
Uno straordinario meccanismo di controllo di ogni aspetto della società reggina e calabrese in cui don Pino Strangio rivestiva un ruolo particolare. Ed eversivo. Secondo la Dda, in qualità di sacerdote e proprio grazie all’autorevolezza negli anni conquistata, “mediava nelle relazioni fra esponenti delle forze dell’ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti di rango della ‘ndrangheta”. Benvoluto da vescovi e cardinali, giornalista pubblicista per anni, persino Consigliere della Federazione nazionale della stampa, nella Locride – afferma la Dda – don Pino era soprattutto un “garante”. Era lui a sovrintendere sull’equo scambio fra i due fronti, che barattavano informazioni con favori, soffiate con protezioni.
Un’operazione di “falsa politica” in grande stile necessaria sia per simulare una dura politica di contrasto ai clan, lasciandoli in realtà liberi di continuare a prosperare, sia per governare con apposite soffiate – e conseguenti arresti – le dinamiche interne dell’organizzazione. Una beffa per l’opinione pubblica e le istituzioni, che in don Pino Strangio aveva un elemento insostituibile, e non ha fatto altro che “rafforzare la capacità dell’organizzazione criminale di controllare il territorio, l’economia e la politica, amplificando la percezione sociale della sua capacità di intimidazione, generatrice di assoggettamento ed omertà diffusi“.
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