Riace e la festa dei Santi Anargiri Cosma e Damiano
Di Elia Fiorenza – “San Cosim’e San Domianu, lapriti ‘si porti /Ca stann’assrivandu e li devoti vostri, /stannu venendu de tantu luntanu /San Cosim’e San Damianu, porgitini la manu”. Intonando questo antico canto, dal 25 al 27 del mese di settembre ricorre, come ogni anno, la solenne celebrazione dei santi medici Cosma e Damiano. Giorni in cui la devozione popolare diviene forza evocativa e momento di religiosità pura, dove ad un’interrotta preghiera di supplica si congiungono atti spirituali votivi che rivelano quanto l’essere umano è provato dalla sofferenza, ma anche sorretto dalla fede e dalla sete di un Dio misericordioso. Gesti e segni che qui generano domande sull’esistenza, sull’umanità alla ricerca di un senso.
Lo sguardo si posa sui piedi scalzi dei pellegrini che arrivano al santuario dedicato ai Santi Medici: piedi consumati, contusi che dipingono nella realtà il viaggio della vita. E poi i canti, le invocazioni, le lodi, le testimonianze appaiono dense di significato, di un tempo che sfugge ad ogni distanza per favorire l’animo alle promesse di una fervida speranza. C’è un passaggio obbligatorio nella vita di ognuno: il momento della condivisione, dell’incontro, della diversità. E qui, per le stradine di Riace che confluiscono presso il santuario, echeggiano i tamburelli, le grida, accanto ai colori accesi che varcano la soglia dell’abitudine per cogliere invece l’essenzialità. Nei cantucci gremiti, suggestivamente i panneggiamenti scivolano via per dar spazio ai cerchi di condivisione di varie generazioni che manifestano insieme il culto ai Santi Anargiri Cosma e Damiano con suoni e giaculatorie. Come un nastro magnetico e saturo la memoria si ravvolge a strattoni, con arresti istantanei, che coincidono coi momenti più straordinari, decrittati dalla meraviglia provata di fronte ad una folla di persone in cammino, in movimento, in esultanza.
E’ la presenza singolare e calorosa degli zingari, rom e sinti, che caratterizza con questa festosità l’atmosfera di Riace in occasione della festa dei santi Medici. I loro costumi, il loro status vivendi così particolare e inconsueto, e quelle loro appassionate piroettate folkloristiche. La loro danza cattura l’energia in ogni soffio d’aria nell’asimmetria dei loro movimenti, veri svolgimenti di un’armonia afferrata nelle leggi di gravità. Essi guardano il mondo che li circonda come avessero in mano le chiavi della felicità. Indossano il presente di ogni età, si nascondono dietro i loro sgargianti costumi nei toni della malva, del verde, del rosso e dell’oro ornati di nastri, gioielli e ricami. Questo dichiara concretamente la loro identità. Un’identità preziosa questa dei rom, che si integra alla rottura della routine, dove convergono solo usi e costumi ormai tutti conformati a perbenismi astiosi. Un’identità che diviene spaccato antropologico, oltre che premessa alla loro cultura sempre originale e fiera, da autentici peregrini per ager: i viandanti che attraversano campi e pericoli pur di raggiungere la meta prefissata. Nomadi del mondo insomma che si amalgamano agli improvvisi cambiamenti della natura, certi che il sacrificio porta ricompensa. La loro storia racconta emozioni, sfide, avventure e il loro ritrovarsi ogni anno a vivere la festa di questi santi taumaturgici, venerati proprio dagli zingari come loro protettori e patroni, rappresenta una possibilità di confronto che ricorda quanto sia multicolore la terra e quanto siano diversi tra loro gli uomini che la abitano. Nell’alta Locride la devozione verso i due taumaturghi di origine turca è molto forte e sentita dalle popolazioni locali che si affidano alla loro intercessione, per ricevere sollievo non solo per l’anima ma anche per il corpo. Nel territorio di Riace,infatti, si ha notizia della presenza in epoca bizantina, di un metochion (piccolo centro monastico) dedicato ai miracolosi gemelli. Tale luogo di culto era di pertinenza del sacro Katholicon di San Giovanni Theristys, che rappresentava il punto nodale per l’amministrazione religiosa ed economica di questa circoscrizione territoriale.
I festeggiamenti, “moderni”, a Riace, risalgono al 1669, anno in cui le reliquie di san Cosma e Damiano furono portate da Roma. Tuttavia solo nel 1734 i due Atleti di Cristo furono eletti Santi Patroni della cittadina ionica. Ma come spesso succede in un’area così pregna di religiosità, che si tramanda dalla notte dei tempi, e ricca di luoghi di culto, la devozione popolare verso alcuni santi è tale, che luoghi di culto appartenenti a religioni diverse si sovrappongono a quelli precedenti e a volte pur mantenendo lo stesso luogo e le stesse strutture religiose vengono intitolati a santi “nuovi” che sostituiscono i “vecchi”. In merito ai Santi Cosma e Damiano, a significare una sovrapposizione di culto ed un cambiamento di nome dal paganesimo alla cristianità, si riporta un “aneddoto”. Il Dioscoro Gentile che da pagano diviene cristiano. Egli si rivolge a Castore e Polluce, divinità greche preposte alla guarigione e li invoca per ottenere una guarigione, questi lo invitano ad avvicinarsi dicendogli, «noi non siamo quelli che tu invochi, ma siamo Cosma e Damiano». Da oltre trecento anni la festa dei Santi che si svolge a settembre, coinvolge anche gran parte dei paesi limitrofi al paesino ionico, che giungono numerosi al santuario, a piedi, per elevare le loro preghiere ai potentissimi Santi Medici.
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