Il Comitato “Falerna – Acqua bene comune” presenta delibera di iniziativa popolare
FALERNA – L’acqua, elemento essenziale e metafora della vita, rappresenta un diritto fondamentale universale. Sulla scia dei referendum del 2011, in Italia si è radicata e sviluppata una nuova coscienza civile. Il Comitato spontaneo “Falerna – Acqua bene comune” si colloca in questo solco, facendosi interprete della sensibilità verso i beni collettivi. Per tali ragioni, ha presentato una proposta di delibera d’iniziativa popolare. Proposta che mette in discussione l’intenzione dell’Amministrazione comunale di affidare in concessione ventennale, mediante la procedura del project financing, «i lavori di efficientamento del sistema di distribuzione idrica comunale e l’installazione di un sistema per la tele lettura dei consumi idrici». La proposta, depositata al protocollo comunale il 16 agosto, è stata sottoscritta da oltre 400 cittadini, che si sono avvalsi dello strumento di democrazia diretta, previsto dall’articolo 32 dello Statuto municipale. La petizione, con cui si richiede la revoca delle delibere comunali orientate al project financing, rappresenta un vigoroso segnale di attenzione, responsabilità e partecipazione popolare. Sintomi di una comunità politicamente informata ed attiva, che fa sentire la sua voce, che intende “partecipare” alle decisioni su temi delicati e di rilevanza collettiva, esprimendo il malcontento in modo costruttivo.
«È evidente che non si tratta di una lotta di parte – si legge in una nota del Comitato – ma di una questione che investe l’intera collettività. Per tali ragioni, chiediamo che il Comune di Falerna arresti il processo di privatizzazione, avviando un confronto sul modello di gestione dei servizi pubblici più utile a Falerna ed alla sua cittadinanza. Il territorio è, infatti, ricco di risorse idriche tali da soddisfare il fabbisogno locale e da consentire l’approvvigionamento in forma autonoma da SoRiCal. Tra l’altro, i costi per il ripristino delle tre sorgenti, presenti sul suolo comunale, ammontano ad appena 35 mila euro: si realizzerebbe, così, un investimento utile e duraturo, oltre che un sensibile risparmio rispetto ai costi del project financing».
Inoltre, il Comitato ritiene che un coinvolgimento della comunità sia più che necessario, considerato che «gli atti in questione, compreso il bando di gara con diritto di prelazione del proponente del 22 giugno scorso, non sono passati al vaglio del civico consesso, massima espressione della volontà popolare e della democrazia cittadina. Ciò a dispetto della delibera n. 217/2015, varata dalla stessa Giunta, che sancisce “l’opportunità di coinvolgere il Consiglio Comunale” nella valutazione della proposta, stante l’importanza “sia sociale che economica dell’iniziativa”. Evidentemente, l’amministrazione cittadina intende ignorare lo statuto, “carta fondamentale” del Comune che, all’articolo 3, stabilisce “lo status dell’acqua come bene comune pubblico”, confermando il principio della “proprietà e gestione pubblica del servizio idrico integrato”. Preoccupante è, altresì, il disinteresse verso la volontà popolare: in occasione delle consultazioni referendarie del 2011, infatti, il 97% dei votanti si è espresso contro la privatizzazione del servizio idrico integrato».
La richiesta è semplice: «il Comune deve mantenere la gestione del servizio, valutando i modelli positivi di alcune realtà calabresi e mettendo in campo tutte le azioni necessarie a placare le giuste preoccupazioni dei cittadini. Cittadini che hanno sperimentato, sulla loro pelle, gli effetti della gestione privata dell’acqua, negli ultimi decenni».
Altro aspetto discutibile è l’installazione dei contatori per la telelettura e l’uso di apparecchiature elettroniche per rilevare le perdite: «dall’analisi del progetto preliminare, si evince che tali interventi, uniti ad altre spese, inciderebbero per oltre 900 mila euro, su un importo totale di 1,2 milioni. Tra l’altro, il sistema di telelettura dei contatori idrici, costantemente collegati in wifi per l’invio dei dati, è raramente utilizzato in Italia; quanto alla Calabria, si tratterebbe del primo comune. La preoccupazione dei cittadini per l’aumento dell’inquinamento elettromagnetico è, quindi, legittima, considerata la dislocazione di concentratori sull’intero territorio».