Gran Bretagna fuori da un’Europa che non c’è
L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa merita un’attenta riflessione.
Tale evento rischia di scatenare una reazione a catena: basti pensare che adesso anche buona parte dei francesi sta facendo pressione perché si proponga un referendum simile anche in Francia.
E potete starne certi, se ciò accadesse, l’esito del voto porterebbe allo stesso risultato di quello britannico.
Innegabilmente, il sentimento anti-europeo è largamente diffuso: si assiste al ritorno dei nazionalismi e delle frontiere chiuse, ed è doveroso cercare di capirne le ragioni.
A mio avviso, alla base di tutto ci sono due fattori che molto spesso hanno condizionato la storia dell’uomo: il malessere e la paura.
Malessere che coinvolge praticamente tutte le società europee, e che ha provocato precarietà dell’economia, del lavoro e del futuro, generando istintivo e rabbioso timore verso l’altro, verso l’assenza di soluzioni e di garanzie che, per l’appunto, proprio l’Unione Europea dovrebbe offrire.
Il referendum britannico ci consegna un’Europa più frammentata e fragile, ma anche più colpevole.
Colpevole di non aver creato, nel corso degli anni, un’unità tra i vari Stati che non fosse quella economica, fondata sulle banche.
Non esiste, o è molto debole, un’identità europea, un disegno politico e sociale europeo, e non esiste un popolo europeo.
Di fronte ad una crisi internazionale devastante, non sono mai state trovate soluzioni efficaci, lungimiranti e condivise.
Laddove manca il senso di appartenenza, di fronte alle difficoltà trionfa l’individualismo.
E l’individualismo, soprattutto quando sfocia in ottuso nazionalismo, non promette nulla di buono.
Se si vuole mantenere viva questa Europa attualmente agonizzante, occorre attuare strategie nuove e diverse, che mettano al primo posto i cittadini di tutti gli stati dell’Unione facendoli sentire parte di un valido progetto comune.
Bisogna agire in fretta.
L’Europa, o si cambia, o muore.