RIACE: QUANDO GLI STATI UNITI TI RICORDANO E L’ITALIA TI DIMENTICA
“A Riace abbiamo organizzato e proposto una soluzione rispetto a un problema che vediamo. Ci siamo detti: possiamo pensare a una soluzione umana, che ha rispetto per queste persone? Io non ho la presunzione di dire che questa è la migliore, ma è un’alternativa alle soluzioni di barriere, di respingimenti, di morte.”
Domenico Lucano, sindaco di questo borgo calabrese, non rispondeva al telefono da qualche giorno, non sapevamo se l’avremmo visto né se avremmo potuto fare gli incontri previsti a Riace. Invece, non appena CarovaneMigranti arriva lui è pronto, ci aspetta di fronte al bar della piazzetta dove c’è un grande arcobaleno colorato. “Mi volete preciso come voi al nord, ma non ci riuscirete”, dice scherzando. Ha organizzato tutto per la nostra tappa e iniziamo a fare una chiacchierata, incuriositi dal vedere e toccare con mano un piccolo miracolo di accoglienza che funziona.
“Io dico due parole: utopia della normalità, nelle relazioni umane ci vogliono le cose normali, fatte di umanità, di antipatie e di simpatie. Il nostro è un progetto che parla di normalità.” Jeans e maglietta nera, ci racconta dell’inizio e delle peculiarità di questo progetto, riuscito grazie a una visione e ad alcuni elementi unici di questo luogo. Per esempio, le case dove oggi vivono i migranti sono di proprietà di ex emigrati italiani nel nord Italia, in Canada, in Argentina, persone che sono state contattate dall’amministrazione comunale e che hanno accettato di far usare le loro abitazioni in disuso per il progetto di accoglienza. “Forse non è replicabile, dice il sindaco, ma è stata una proposta. Essere di sinistra, nel mio immaginario, vuol dire avere un rapporto con il senso della proprietà privata un po’ più distaccato e avere uno sguardo anche verso gli ultimi, verso i migranti, un’attenzione sociale insomma. Per me è una questione anche politica, questo voglio dire”, dice Mimmo Lucano e ci crediamo un po’ tutti noi in quel momento, travolti da tanta determinazione.
Fa un breve accenno al riconoscimento ottenuto negli Stati Uniti che lo vede tra i cinquanta leader più influenti al mondo: “vedete”, dice abbassando la voce, “prima di questo premio, non mi invitavano nemmeno alle riunioni regionali sull’immigrazione, qui a un’ora di macchina da Riace e ora mi chiedono di partecipare a una Commissione a Roma, vi rendete conto? Che cosa è cambiato? E comunque io a Roma non ci sono andato.”
Ci infiliamo nelle stradine labirintiche che portano al Palazzo del borgo per una riunione informale, con noi carovanieri e i cittadini invitati e richiamati man mano che passeggiavamo tra laboratori e case riabitate. “È un’occasione speciale oggi”, dice il sindaco mentre indica K., il primo arrivato a Riace e Y., la più giovane e ultima arrivata, una bambina etiope di otto anni. K., è un signore curdo sui sessant’anni, è arrivato nel 1998 con la prima barca che sbarcò su queste coste; Y. invece, ha otto anni ed è arrivata da cinque giorni da Addis Abeba. La mamma, una ragazza di 22 anni arriva a Riace tre anni fa e, dopo aver aspettato e ottenuto i documenti per il ricongiungimento, è andata a riprendere la figlia, che viveva da due anni come baby-sitter –lei a otto anni- dei figli di una matrona, in cambio di un tetto dove stare. Ha qualche ferita in volto la piccola Y., ancora non parla italiano anche se ha già iniziato ad andare a scuola da tre giorni. La mamma lavora in uno dei laboratori di cui vive questa città, quando la incontriamo, sta facendo ricami su un lenzuolo bianco: questo laboratorio, una vecchia cantina recuperata, costruisce e vende orecchini, braccialetti, sciarpe, tutto rigorosamente fatto a mano da donne italiane, afgane ed eritree. Ognuna di queste strutture, per volere del sindaco, ha un italiano e un migrante, perché “è l’integrazione, la parte umana, su cui bisogna lavorare”, dice Mimmo Lucano.
Relazioni umane, dobbiamo fare relazioni umane, insiste questo sindaco fuori dall’ordinario. “Le persone che arrivano non portano sempre malattie, problemi, perdita di lavoro, possiamo sforzarci di immaginare che portino i loro colori, la loro cultura, le loro speranze; volevamo vedere quello che poteva nascere e il risultato è una convivenza di oltre 500 (migranti) in un paese di 1300 persone che ha portato una grande speranza in un luogo destinato a scomparire; non cent’anni fa, ma nel 2000 quando chiudevano scuole e luoghi di vita in molti paesini della Calabria. Ci siamo rapportati al mondo e io ho visto che Riace doveva aprirsi a questo mondo ed esserne parte”.
Domenico Lucano è al suo terzo e ultimo mandato, ma l’utopia della normalità in questo paesino calabrese è destinata a durare.