ORRORE AI RIUNITI: “LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CHE ENTRATE”
di Claudio Cordova, Fonte: www.ildispaccio.it
Il colore bianco del camice dovrebbe essere simbolo di pulizia, di purezza, di candore. Sotto il profilo materiale e morale. Chi lo indossa, invece, dovrebbe rappresentare un baluardo, una difesa contro i mali della vita: un’ancora di luce cui aggrapparsi nel dramma della malattia. L’ospedale dovrebbe essere un luogo in cui poter alleviare le proprie sofferenze, un presidio di diritti sanciti dalla Costituzione.
Tutto questo non esiste a Reggio Calabria.
Le condotte che l’indagine “Mala Sanitas” consegna alla popolazione fanno emergere uno spaccato agghiacciante degli Ospedali Riuniti, vero e proprio luogo di orrore, quasi di torture ai pazienti che, dopo i danni irreparabili causati dall’imperizia del personale medico venivano persino convinti della bontà del trattamento subito.
Oltre al danno la beffa.
Non c’è centimetro di Reggio Calabria che conservi ancora un che di buono, un che di puro. Dove non arriva (in maniera diretta) la ‘ndrangheta, arrivano corruzione, clientele e squallore. Una città priva di punti di riferimento, in cui sono ormai definitivamente spezzati quei vincoli fiduciari su cui una società dovrebbe fondarsi: dalla politica alla giustizia, arrivando ora alla sanità, non ci si può fidare più di nessuno.
Così una città muore. Resta da capire solo la velocità con cui verrà dichiarato il decesso.
La collocazione del dott. Alessandro Tripodi, uno dei personaggi principali dell’inchiesta curata dai pm Gaetano Paci, Roberto Di Palma e Annamaria Frustaci, è l’emblema di come vanno le cose in città: Tripodi, nipote di Giorgio De Stefano, l’avvocato-eminenza grigia considerato uno delle menti più sopraffine che la ‘ndrangheta abbia mai avuto, avrà per anni un peso assai significativo all’interno del reparto di Ginecologia dei “Riuniti”, fino a diventarne addirittura il primario. E’ ascoltando lui – partendo da un’indagine sulla cosca De Stefano – che agli uomini della Guardia di Finanza viene aperto un mondo fatto di imperizia medica, di falsità ideologica, di aborti obbligati e di indicibili sofferenze per moltissime famiglie, che subiranno danni irreparabili per i propri neonati e, talvolta, la morte degli stessi.
Ecco la sanità reggina, lottizzata da ‘ndrangheta e sistemi di potere che non lasciano alcuno spazio alla meritocrazia. Concorsi truffa in cui a vincere sono quasi sempre gli “amici degli amici” o le “amiche” dei potenti di turno. Perché la carriera ospedaliera, con la possibilità del primariato, rappresenta ancora un elemento di prestigio sociale e di potere.
Tutte caratteristiche che il “sistema” – che nelle sue varie articolazioni quali politica, imprenditoria, massoneria, ‘ndrangheta, ecc. – possiede per sua stessa caratteristica ontologica.
Proprio quel “sistema” che l’inchiesta ha svelato all’interno degli Ospedali Riuniti. Un mutuo, omertoso, silenzio, così granitico da far impallidire quello di matrice mafiosa. Tutto per celare all’esterno le malefatte compiute sicuramente nel 2010 e che – sospettano gli inquirenti – sarebbero potute certamente proseguire anche negli anni successivi.
Una melassa nauseabonda che tanto somiglia alla fluidità di rapporti che regolano la vita reggina.
E sconcerta che nessuno possa essersi accorto di nulla in tutti questi anni. Che la Direzione Sanitaria pro tempore non abbia assunto alcun tipo di decisione. Così come inimmaginabile credere che gli artifizi messi in atto dagli indagati siano potuti accadere all’oscuro del personale infermieristico. Ecco nuovamente la melassa in cui una mano lava l’altra e in cui nessuno vede alcunché.
E allora non può che diventare fondamentale l’indagine di natura tecnica.
Un’indagine che non avrebbe mai potuto portare a galla tali circostanze senza il preziosissimo strumento delle intercettazioni telefoniche. Quelle stesse intercettazioni telefoniche che qualcuno – evidentemente complice, almeno moralmente, del malaffare – vorrebbe limitare o, addirittura, in alcuni casi, vietare. Che vorrebbe, sicuramente, impedire ai giornalisti di pubblicare, perché vorrebbe il popolo all’oscuro di fatti così gravi e incapace, quindi, di indignarsi, di formare una coscienza sociale che è alla base di quei vincoli di cui si parlava poco fa e che per Reggio Calabria sono ormai solo un lontano ricordo del passato. Ed eccoli lì, con vicende così gravi sul piatto della bilancia a spaccare il capello in quattro, circa la rilevanza o meno della pubblicazione, all’insegna di un garantismo becero che puzza di mafiosità.
E invece noi saremo qui a pubblicare, ancora e ancora e ancora qualsiasi testo non coperto dal segreto istruttorio che possa contribuire a informare i cittadini e ricostruire una società disgregata e ormai alla mercé di ‘ndrangheta, politicanti, affaristi e professionisti inadeguati o piegati ad altre logiche.
L’inchiesta “Mala Sanitas” ha indignato la città. E attraverso la conoscenza delle squallide dinamiche scoperte dalla Procura di Reggio Calabria ora la cittadinanza conosce la strada verso la porta della denuncia. Un uscio che però deve essere varcato con convinzione per poter incidere su quelle sacche di malaffare che talvolta distruggono e impoveriscono, ma che, in molti casi, uccidono.
Al netto dei reati che la Procura contesta agli indagati, il tratto caratteristico dell’inchiesta è rappresentato dall’assoluta mancanza di professionalità e di empatia che il personale medico di reparti così significativi sotto il profilo morale e sociale – Ginecologia e Ostetricia – avrebbero dimostrato nel corso della propria attività lavorativa. Pazienti che non solo non venivano considerati esseri umani, ma che, probabilmente non assumevano nemmeno la dignità di “numeri” da salvaguardare nel proprio ordine. Bastava infatti falsificare le cartelle cliniche – diventate a tutti gli effetti carta straccia – per ricreare una realtà fittizia di quanto accaduto in quell’inferno degli Ospedali Riuniti, che non lascia spazio ad alcuna aspettativa positiva, ad alcuna speranza.
Ciò che annichilisce, infatti, è la naturalezza con cui i protagonisti dell’inchiesta “Mala Sanitas” avrebbero messo in atto alcuni dei comportamenti più squallidi di cui l’essere umano possa essere capace. Talvolta anche col sorriso sulle labbra. Tripodi – stando all’accusa – avrebbe sostanzialmente causato farmacologicamente un aborto alla sorella per il solo sospetto che dal parto potesse nascere un bambino con delle gravi patologie.
Fatti del 2010. I protagonisti sono riusciti a dormire ogni notte per circa sei anni, senza provare il minimo cenno di pentimento o rimorso.
Siamo umani, non può andare così.