Elezioni comunali: le riflessioni di Antonio Larosa sulla vittoria di Gioiosa Bene Comune
Riflettere e indagare con pazienza, mettendo a sistema analisi plurime anche apparentemente divaricanti, è sempre operazione di grande sagacia e di grande lungimiranza, soprattutto quando si è innalzati vincitori e la strada all’orizzonte pare alleggerirsi in una più comoda discesa. La nuova prepotente vittoria di “Gioiosa Bene Comune”, nelle ultime elezioni comunali, merita qualche riga in più a favore di questa operazione: personalmente, ci provo in questa sede.
L’angolo di visuale prescelto non è quello di un’analisi del voto spicciola e immediata e nemmeno di una
replica dei temi che la cronaca politico-elettorale ha già ampiamente elaborato. Più chiaramente, non è il
meritato trionfo di Luca Ritorto (nuovo Sindaco di Gioiosa Ionica, piena espressione di continuità del
progetto) o di Salvatore Fuda (esaltato da una messe di consensi personali senza precedenti) o degli altri
candidati consiglieri (ancora una volta pubblicamente apprezzati dalla comunità gioiosana) a interessarmi in modo specifico nella presente riflessione a voce alta. Così come vi è poca utilità a ribadire in questa occasione la differenza qualitativa, nei programmi e nella credibilità delle liste, che pure è stata parte importante dell’incontestabile affermazione di “Gioiosa Bene Comune”.
Qui ed ora, con questi appunti, l’ambizione è provare ad andare più in profondità, capire cosa è successo
negli ultimi anni nella società gioiosana e offrire un piccolo contributo di razionalità politica a suggello dei
trionfi di “Gioiosa Bene Comune”. Che presuppongono una decisiva incidenza delle personalità e dei
protagonisti in campo (evidentissimi soprattutto nelle vittorie degli anni scorsi), ma che ormai sembrano
quasi potervi prescindere stante il radicamento sociale e culturale raggiunto alla data odierna dal
Movimento fondato da Salvatore Fuda.
Negli anni passati, ho avuto modo di etichettare le vittorie alle elezioni comunali del 2013 e del 2018 con
due immagini verbali, due marchi di immediata comprensione dietro i quali ovviamente fermentano
riflessioni più articolate ed approfondite: la rupture del 2013, superamento simbolico e reale di un passato ormai deterioratosi, cambiamento in fase embrionale e caotica ma comunque pronto a manifestarsi nella sua potenza fattuale; la “creazione” del 2018, conferma/convalida di un progetto e di una classe dirigente, cambiamento che diventa prodotto reale ed ordinato e che si avventura sui sentieri fascinosi dell’egemonia nella società gioiosana.
Rottura iniziale che porta alla creazione intermedia che porta a cosa, esattamente? Quale etichetta offrire
oggi ad un nuovo successo elettorale che, in realtà, è ancor prima una vittoria egemonica sul piano politico e culturale? Prima da militante con cuore e cervello coinvolti nell’impresa e subito dopo da osservatore calato nella speculazione intellettuale più lucidamente distaccata, la mia convinzione è che la vittoria del 2023 segni in modo plastico e rumoroso quella che è la costruzione di un popolo. Ovvero una comunità, dalla militanza più stringente al supporto più sobrio, che si identifica in un linguaggio e in una pratica condivisi e che si riconosce in un progetto collettivo di più ampio respiro. Ovvero un campo largo di cittadinanza che si tratteggia nella sua fisionomia più intima collegando i puntini delle richieste e dei bisogni popolari, le più varie e disarticolate (per dire: scuole moderne per i propri figli, nuove opere pubbliche e nuovi spazi sociali, un paese pulito tramite un efficiente servizio di raccolta rifiuti, l’accoglienza per i migranti e i rifugiati, il sostegno alle fasce sociali più disagiate, l’attrattività turistica nel periodo estivo, il supporto all’associazionismo diffuso, ecc.)
Mi viene in soccorso la lezione offerta negli ultimi anni dai pensatori del populismo democratico e radicale (penso ad Ernesto Laclau o a Chantal Mouffe): siamo dinanzi alla costruzione di una comunità politica tenuta insieme da una “catena equivalenziale”, vale a dire una relazione che connette domande
eterogenee e inevase e che le unifica sulla base di poche parole d’ordine. “Gioiosa Bene Comune”, nel
corso degli anni, ha avuto proprio la capacità di trasformare una massa indistinta ed amorfa di potenziali
sostenitori in pezzi costitutivi di un popolo connesso in una visione comune: “catena equivalenziale”, nel linguaggio del populismo democratico-radicale, significa proprio raggruppamento in una sintesi superiore
delle numerose istanze dei singoli cittadini e dei singoli pezzi di società, le stesse istanze che poi trovano
sbocco e profitto in un discorso collettivo, in una proposta politica, in una sfida elettorale.
L’ultima campagna elettorale, quale ulteriore ratifica, si è dipanata proprio in quest’ottica: da una parte, un
popolo ormai sedimentato e consolidato, che esprime pulsioni democratiche anche assai variegate fra di
loro e in grado di sfociare utilmente in una lista e in un assetto politico-elettorali, che produce una
“egemonia” adattata ai tempi e al contesto spaziale (volendo riprendere l’antico modello dell’insuperabile
Antonio Gramsci;) dall’altra parte, pezzi di comunità senza un vero progetto di prospettiva, raffazzonati in
una lista elettorale mediocremente legata alle piccole cose di una quotidianità ormai esausta, con pochi
contenuti e poche parole se non quelle alla rincorsa degli avversari, nessuna “catena equivalenziale” a voler connettere e rappresentare le istanze concrete dei cittadini gioiosani.
Anche il coinvolgimento del Partito Democratico, dopo anni di sterile e talvolta incomprensibile
collocazione fuori da questo campo politico-culturale, dopo un dialogo fra le parti finalmente laico per
approccio e contenuti, va inteso come una naturale risultanza della costruzione di un popolo: il mondo PD, per valori di riferimento e pratica politica, appartiene a quel popolo, non poteva non rientrarvi a pieno
titolo in questa contingenza elettorale e non può non investirvi in un progetto di lunga lena.
Il risultato a valle di questo percorso concatenato è ormai evidente ed oggettivo, agli occhi dei più: lo
standard delle richieste dei cittadini unificatisi in una comunità di popolo, e di riflesso inevitabilmente
anche delle repliche della classe politica, si è alzato di livello e di estensione, non ci si accontenta più di
questioni di dimensione e orizzonte limitati e chiunque voglia competere per la guida di Gioiosa Ionica deve collocarsi su questo nuovo standard. Ergo: “Gioiosa Bene Comune” vince e rivince perché garantisce
un’offerta politica di ambizione più solida, perché produce una classe dirigente di qualità ed efficacia,
perché riesce a rappresentare l’ansia di progresso e di avanzamento che ormai si è consolidata nel tessuto sociale gioiosano.
Oggi, dopo questa vittoria e dopo queste fermento sociale e politico, possediamo una parola-chiave da
perseguire, potente e cristallina: progetto. Progetto è parola dinamica, quasi costituente. Progetto è parola che identifica la nuova frontiera dell’innovazione politica per “Gioiosa Bene Comune”. Progetto è parola che ha una sua consecutio lineare: distruzione di ciò che non serve più (la rupture del 2013), costruzione di una nuova e più consona realtà (la “creazione” del 2018), consolidamento di una soggettività di popolo (il trionfo del 2023). Perché bisogna sempre alzare l’asticella e provare a saltare ancora più in alto, ovvero costruire la transizione da un progetto che è stato soprattutto politico-elettorale ad un altro che sappia evolvere verso una democrazia radicale. Questa deve essere la nuova grande ambizione di “Gioiosa Bene Comune”: consolidare il popolo che è già stato costruito nelle sue fondamenta principali, attivarlo in un programma di protagonismo partecipativo che innovi ulteriormente la parabola sociale e culturale della nostra cittadina. Si tratta di perseguire un civismo moderno, che faccia politica nel senso più nobile dell’espressione; si tratta di organizzare in modo strutturale una comunità politica che si cimenti nelle grandi sfide della partecipazione democratica tout court, andando anche oltre la ristrettezza dei confini municipali.
Si vince nelle urne perché si lavora nella società, si guida realmente una comunità solo se vi è capacità di
immersione nel contesto sociale, culturale ed antropologico di riferimento: lezione fondamentale che
“Gioiosa Bene Comune” proverà a spingere ancora più avanti.
Angelo Antonio Larosa
Coordinatore “Gioiosa Bene Comune”