Perché la ‘ndrangheta? Antropologia dei calabresi

Perché la ‘ndrangheta? Antropologia dei calabresi

C’è una ‘Ndrangheta come fenomeno malavitoso e un comportamento ‘ndranghetista radicato nelle pieghe e nelle piaghe più profonde della società calabrese, confuso con tradizioni che di atavico e territoriale sembrano avere poco o nulla in comune. È quanto sostiene Alessandro Tarsia nel suo saggio – che ama definire pamphlet – “Perché la ‘Ndrangheta? Antropologia dei calabresi”, Pungitopo Editore, 2015.

Come un fiume in piena e senza far sconti a niente e a nessuno l’autore prende in considerazione atteggiamenti del calabrese tipo, tutti accomunati da mancanza di rispetto sia verso la propria terra che verso i concittadini, in nome di un egoismo da clan. Ne vengono fuori dei caratteri, ma sarebbe più esatto parlare di maschere, che da secoli movimentano il palcoscenico tragicomico calabrese e che spiegano il sottosviluppo della regione confermato anche dagli ultimi dati statistici.

Cellula prima e per molti versi malata di questa società, pur evolutasi col tempo, è la famiglia nella quale rimangono tracce, più o meno profonde, del mondo contadino fatto di maschilismo, di machismo, spesso una comoda maschera all’omosessualità, di sopruso. Famiglie che non si incrociano in campo economico a differenza che al nord dove da tempo è nato il cooperativismo, dando vita così a produzioni di vino e olio, a uso e consumo in gran parte personale, di qualità scadente nonostante la ricchezza del territorio.

A questo nucleo tematico l’Autore lega molte altre maschere accomunate tutte – ed è questo appunto l’atteggiamento ‘ndranghetistico – da assoluta mancanza di rispetto per tutto ciò che non è proprio (ad es. l’accumulo o lo smaltimento abusivo di rifiuti nella terra del vicino o in quella demaniale); dalla totale mancanza di consapevolezza della storia dimostrato dagli scempi perpetrati anche di recente su siti archeologici di rilievo; dall’esterofilia dilagante che ha fatto della regione terreno privilegiato per tutto ciò che da fuori proviene: dalle nuove colture inadatte al territorio (ad es. l’eucaliptus capace di distruggere e rendere arido il terreno, ma anche le palme); da rifiuti tossici interrati o inabissati nel profondo del mare. A tutto questo si unisce poi la capacità dei calabresi di mortificare la loro terra attraverso infrastrutture incompiute (ad es. la Salerno-Reggio Calabria); opere inutili piegate a suo tempo a interessi locali (ad es. la pericolosissima SS 106 ormai diventata una lunga strada comunale tappezzata da autovelox); case gigantesche simili a ruderi all’esterno, al set di una soap opera all’interno con punte di cattivo gusto riscontrabili nel mobilio e non solo, dotate di cucine e salotti giganteschi che la famiglia preserva in eterno preferendo vivere in squallidi garage.

Il calabrese – rileva l’Autore – è in grado di compiere spedizioni militari alla conquista di un tavolo in un’area attrezzata silana o aspromontana soprattutto durante i giorni di Pasquetta e Ferragosto in cui squadroni di lanzichenecchi prendono la via della montagna: il pic-nic diventa allora rituale a tratti tribale di famiglia in nome del quale risulta lecito disboscare la foreste e lasciare ovunque tracce, organiche e non, di sé e del proprio passaggio; il calabrese non si fa scrupolo di sterminare gli uccelli migratori di passaggio sullo stretto; il calabrese dà fuoco alle stoppie (ma anche ai boschi) nella convinzione di purificare e concimare il territorio e senza curarsi di uccidere così gli animali che in quest’habitat hanno le loro dimore.

Se la ‘Ndragheta minaccia il territorio e la sua crescita, il comportamento ‘ndranghetista connaturato a gran parte della popolazione non è dunque da meno. Un affresco, quello presentato da Alessandro Tarsia, desolante eppure tragicamente inchiodato ai fatti, attraversato da legioni di elettori-clienti sempre pronti a bussare alle porte del politico di turno, caratterizzati da sacche di povertà materiale e soprattutto culturale, attraversati da pregiudizi e luoghi comuni duri a morire: un plotone di esecuzione, questo, pronto a dare il colpo di grazia a una terra un tempo scelta dai Greci per le loro fiorenti colonie.

Giuseppe SquillaceDocente di Storia antica presso l’Università della Calabria

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