Cosimo Cavallaro: “Perché è importante partecipare per scegliere il nuovo segretario del Partito Democratico”
di Cosimo Cavallaro
L’astensionismo che negli ultimi tempi è diventato il partito di maggioranza relativa non è da considerarsi un semplice numero o una fredda percentuale. La fuga dalle urne ci racconta una storia dai risvolti funesti per chi crede tenacemente nella Democrazia e non intende recitarne il rito funebre.
Astenersi vuol dire rinunciare, sottrarsi ad un dovere civico e rifiutare un diritto per conquistare il quale i nostri antenati hanno combattuto fino al limite del sacrificio. Ma l’aspetto più grave dell’astensionismo consiste nel far sì che una minoranza di cittadini decida le sorti futuredell’intera comunità: mie, tue e nostre! Ed è inutile se non ipocrita lamentarsi quando il governo, il presidente di regione o il sindaco, per l’elezione dei quali ci si è disinteressati, assumono decisioni (ovvero emanano leggi e ordinanze) che contrastano con le nostre aspettative o i nostri interessi.
In questi giorni si parla molto di “allontanamento dalla politica” come se in passato ci fosse mai stato un avvicinamento palese con quella che in anni recenti è stata definita la “casta”. La militanza, termine oggi fuori uso, è sempre stata un fenomeno minoritario tra i votanti dimostrato dal fatto che l’Italia, per oltre sessant’anni, è stata governata dalla Democrazia Cristiana che di militanti non ha mai fatto il pieno anzi… e allora come oggi le elezioni si vincono o si perdono grazie al voto di quella che è stata definita la “maggioranza silenziosa”.
A mio parere il fenomeno odierno si chiama assuefazione o, peggio, disaffezione: una vera e propria malattia dello spirito che non ammorba solo la politica ma che contagia soprattutto l’etica e la cultura ovvero ciò che ci rende umani. Infatti, sempre più spesso, si dibatte sulla “perdita dei valori” dimenticando che i valori non si perdono ma, semplicemente, non si comprendono. Dare il giusto valore a tutto ciò che ci coinvolge, dalle idee agli esseri viventi o ai semplici oggetti, significa essenzialmente esercitare nel modo migliore ovvero con equilibrio la nostra libertà decisionale. Decidere, ecco uno dei compiti più difficili che la vita ci pone. Troppo spesso prendere una decisione è un compito gravoso e ingrato perché è la stessa esistenza a non essere in bianco e nero: per ogni decisione non ci sono solo due strade percorribili ma veri e propri crocevia. Ed ecco dove interviene in nostro aiuto la cultura che non è essenzialmente legata al titolo di studio o al nozionismo ma soprattutto alla sensibilità e alla vocazione nel volercomprendere il mondo in cui viviamo. Per decidere il percorso più conveniente, qualunque sia l’oggetto della decisione, occorre la conoscenza ma anche e soprattutto la determinazione: esattamente il contrario dell’assuefazione la quale conduce inevitabilmente versol’apatia.
Al giorno d’oggi il progresso tecnologico, incoraggiato dal basso costo,mette a nostra disposizione preziosi gadget che potrebbero rappresentareun valido aiuto se non ne abusassimo facendone un cattivo uso cosicché lentamente ma inesorabilmente, senza accorgercene, ci stiamo incamminando su una strada senza ritorno. Quando il belato di una capra postato sui social attira più di una buona lettura, quando disimpariamo a comunicare con la scrittura perché è sufficiente postare un vocale o un video, significa che è giunto il tempo di fermarci e riflettere sui rischi ai quali stiamo andando incontro nel momento in cui accettiamo che la tecnologia si sostituisca al nostro intelletto. Anche per questi motivi ho deciso che domenica 26 febbraio mi recherò al gazebo a me più vicino per dare il mio contributo nella scelta del nuovo segretario del Partito Democratico.
L’astensionismo genera frutti velenosi ed è tempo di porre fine a quella che non rappresenta né una tattica e né una strategia per migliorare o semplicemente mantenere uno standard di vita degna di essere vissuta. Occorre riaccendere il desiderio della partecipazione e della condivisione, ambire ad una comunità industriosa il cui futuro non sia deciso dalla passività intellettuale o decretato esclusivamente da un governo coeso nell’esercizio del potere fine a sé stesso. Un paese civile ha bisogno di una maggioranza politica che non si nutra delle nostalgie del passato ma che, al contrario, abbia almeno una visione del futuro. Ma necessita anche di un’opposizione parlamentare che sia capace di elevare il dibattito democratico soprattutto quando chi deciderappresenta sì la maggioranza dei votanti ma non quella dei cittadini. Le elezioni politiche si possono vincere o perdere ma se vogliamo almeno tentare di tenere la barra dritta in un contesto sempre più complicato dalle guerre, dai cambiamenti climatici, dalle crisi economiche alimentate da una speculazione selvaggia, dalle inevitabili migrazioni e dal degradamento della società, non possiamo permetterci il lusso di rifugiarci nell’apatia lasciando che un drappello di esaltati o un pugno di microchip decidano la nostra sorte futura.