L’anno scorsoio
Da quando li chiamo sogni i segni sono più visibili, le pacche sulle spalle non lasciano più lividi e l’onta della cazzata che sto per fare si dissolve dietro la spinta emozionale di una famiglia orgogliosa del fatto che sono solo cazzi tuoi. Non paga nessuno che non sia tu, sia chiaro. Cosa ti aspettavi da chi ha perpetrato la resistenza alla realtà con montagne scoscese di nuda roccia dalla quale l’eco dell’ego si moltiplica in vastità di ammissioni? La responsabilità dell’architetto è controfirmata per competenza. La latenza suppone elasticità. Prevedo il furto della documentazione all’atto in cui si andranno a verificare i progetti. Mettersi in gioco senza rimanerne pedine. Sfondare il coprifuoco dopo aver firmato un patto con il Diavolo. Le postille che annientano il pressapochismo dei messi comunali sciolgono i dubbi nell’acido dell’accordo. Dal fondo della fondamenta risalgono affamati i non morti. Boccheggio pure io ma caracollo tra le piante di un raccolto che non mi aspettavo diverso. L’universo in cui mi sono ritrovato non ha perso un filo del suo fascino assassino. Concime per i vermi, mi dissero. E a me piace pensare che esista uno scopo e che lo scopo si sorrida solitario allo specchio, accentuando il suo fascino nel digrignare i denti, bianchissimi tra la schiuma da barba sulle guance.
Nell’indecisione tra rivolgermi ad un astrologo e lanciarmi in congetture di prima mano, mi siedo ad aspetto che apra la bottega del vino. Si nominano sempre gli stessi peccati e ci si dimentica sempre dei peccatori. Ma per nostra fortuna si continua a votare la merda che ci rappresenta. Nemmeno di fronte alle avance di quello che è un frangente decisivo riusciamo a definirci. Ci sbricioliamo ben cotti sulla tovaglia dell’ultima cena. Pioviamo tra i resti un pasto, dal balcone da cui una madre premurosa si affaccia per scrollarci via. Essere in sintonia con il creato potrebbe anche essere questo, se farne parte non fosse già la scusa giusta che, oltre ogni ragionevole dubbio, ci permette di viverlo al meglio. Prendo i ferri del mestiere e ne faccio esperienza. Prendo a calci le bandiere che sventolano colori in faccia ad utenti daltonici. Farsi benvolere, oggi, è fiato sprecato. Le candeline sulla prossima torta di compleanno piangeranno, orfane, lacrime di cera. La società civile entro la quale i miei genitori giocano a nascondermi traccheggia tra filosofie della tregua ed armistizi che disattendono gli intenti di chi parla di giorno per affilare i coltelli di notte. Vogliamo la guerra. Vogliamo fortissimamente la guerra. Senza scrupoli, senza senza rimorsi, senza pensarci più del dovuto, senza dannarci più del necessario. L’anno scorsoio che festeggiamo alla mezzanotte stringe il suo cordone ombelicale intorno al collo del nascituro ma gli prepara la più bella vesta di benvenuto che si possa immaginare. E non voglio sentire parlare di diversivi se non dalla bocca del diretto interessato. E non voglio vagliare piagnistei. E non cambierei mai punto di vista solo perché me lo dici tu.
L’ipotesi dell’apoteosi come segno distintivo della platealità dei gesti che ci circondano sono le sbarre delle gabbie dentro le quali ci attacchiamo con i pugni per urlare il diritto alla libertà che abbiamo scambiato l’ultimo modello di uno smartphone con più funzioni di quante saremo in grado di usarne. Nella retorica del vincitore, al vincitore scoppia il cuore di orgoglio. E se l’infarto della felicità ti sembra un’esagerazione, parlami di questi tempi ottusi e dell’illusione che sia stato fatto il possibile. Del passabile non dovremmo accontentarci nemmeno sotto tortura. La bruttura ci rende meccanicamente faglianti. Il vizio di forma si disinteressa alla sostanza. Dalle mura che mi crollano addosso si intravvede un raggio di luce. La speranza mi intrappola, lascia crescere barba e capelli e paga qualcuno perché ne abbia cura. Sniffo calcinacci. Mi drogo come ogni buon cittadino di questa nazione, di questo continente, di questo mondo. L’autopsia della nostra galassia è in mano a formiche operaie che riusciranno a risolvere ogni criticità. La fantasia al potere ci permette di immaginare che la soluzione sia proprio sotto il nostro naso. Sputo sentenze e sfato apparenze tra le trasparenze che velano le forme di una sconosciuta. La riuscita del piano è nelle tue mani. Ti toccherà cercare di concentrare le forze per tentare l’assalto e forzarla con le guardie alla porta. Una sorta di sfida in cui confidare negli altri non ti è concesso ma puoi moltiplicare le tue personalità nei limiti dell’impossibile. Del compromesso storico, i nostri successori non dovrebbero mai leggerne. Delle assenze avremo le pezze d’appoggio. Delle violenze avremo lividi ricordi. La scarificazione delle anime concretizza il cammino, lo illumina svelando la mappa che impareremo a leggere man mano che ci renderemo conto della posizione privilegiata che occupiamo. Seduto nel pezzo del cammin di nostra vita in cui occorre tirare il fiato, accendo una sigaretta e non faccio nemmeno un tiro. Girerò nudo per casa nell’attesa di decidere se e cosa cucinare. Nei giorni dell’impenitenza, gozzovigliare inadempienti rimane lo stratagemma ideale per chi fa finta di tenerci. Occhio alle facilitazioni: non esistono i conti alla rovescia se stai considerando ciò che arriverà. L’anno nuovo l’hanno declassato a transizione. Se non ti piace, a te e soltanto a te è riservata la stessa occasione anche l’anno prossimo. Ritenta! Noi non ti abbandoniamo.