Come quando dentro provi
La precisione con la quale mi hai frantumato i coglioni l’altro pomeriggio, mentre parlavamo dell’approssimazione, è da encomiare. Come quando fuori rode ma interiorizzare e metabolizzare vengono in soccorso se solo dai loro il credito che meriterebbero. Come quando dentro provi a fare gli spostamenti per l’arredamento che seppur non puoi stravolgere nel come e nel quanto, ti avvicina al piacere di riformulare per capire meglio i singoli elementi ed il risultato nel suo insieme. Non ci stanno su quella teca tutte quelle bellissime bomboniere di battesimi, cresime, comunioni, matrimoni e meno male che la mia mozione di aggiungere una bomboniera per i funerali non è stata approvata. Ritardarono con le risposte, temporeggiando su ciò che sembrava una follia ma che nella mia intenzione era l’unica bomboniera giusta in questo nugolo di ninnoli. La bomboniera come ricordo ultimo che potesse realmente racchiudere il senso della persona che hai salutato. Le campagne per la riconquista del Santo Sepolcro si annaffiano nel sangue e ciò che ne nasce è ciò che ne consegue. La tregua per cibarsi è indolente. L’umanità si risveglia, si scuote come un albero le cui foglie secche cadono e denuda l’arbusto scheletrico tra le ramificazioni in cui rimbombano inni scheletrici zeppi di parole sconnesse. Potessi sentirle ti renderesti conto che ciò che conta è montare i pezzi del puzzle e poi distruggerlo. Montare i pezzi del puzzle e poi distruggerlo.
Comincio a starnutire alla stagione degli antistaminici. Un tipo di passato in cui avanza il prossimo in maniera confusa, a tentoni, sbattendo la testa col muro di cinta alto solo qualche centimetro in più di quanto tu sia capace di saltare. La tentazione di sfondarlo a testate s’infrange come un’onda animale sulla percezione filosofica di potercela fare. Sfodero la mia spada di fuoco e griglio la mia carne nell’irruenza della fame che bullizza le buone intenzioni. Un libeccio da sud-ovest soffia sulle voglia di vincere che toglie il disturbo. Il più furbo di noi si ritroverà a raccontare le gesta dei compagni caduti meditando su ciò che ha visto mentre dalla cattedra il professore di turno sottolineerà gli errori formali con una matita rozza, atta alla bonifica del testo. Non superare mai i caratteri richiesti. Scegli bene ciò che intendi dire. Sciogli bene ciò che intendi dare. Di avvelenamento o di trombo? La differenza dell’innocenza è messa al bando da chi mi parla solo della fine. Cerco l’unità di misura del giorno d’oggi appoggiandomi con entrambe le mani alla guida, mi sporgo del parapetto ed ammaliato volo sopra la città. Sputo. Ripeto. Sputo. Ripeto. Muto in concreto non significa silenzio. E se il vento cambia, dispiego le ali per farmi trasportare. La tradizione è il fronte dell’evoluzione con meno probabilità di farcela se ci si limita alla contemplazione. Urgono parole nuove.
Apro un tubetto di mastice, sputa fuori il collante per le letterine dei biscottini che i ragazzini affogano nelle colazioni. La precisione con la quale mi hai frantumato i coglioni, anche stamattina, mentre ci approssimiamo al giorno nuovo, è da encomiare.
Faccio un caffè in silenzio. Poi con tutto questo mi ci pulirò il culo, mi ci laverò la faccia, mi ci sbiancherò i denti che sanguinano ancora. E se profumerò il bavero della giacca sarà solo perché mi hanno insegnato che è più facile fare colpo distraendo chi ti trovi davanti. La confusione è la cattiva consigliera d’amministrazione di una società della quale hai ereditato delle partecipazioni azionarie e non sai che fartene. Credo sia arrivato anche oggi il momento di uscire. Come quando fuori muori. Cresco. Ogni Martina che incontrerò dovrà fare i conti con me. Ogni Serena dovrà cantarmi una ninna nanna. La panna la porto io. Sopra e sotto, certo.