Morto Pietro Ingrao. Qualcuno era comunista
Una sera d’ estate di molti anni fa, un bambino si rifiutò di fare la pipì nel vasino, nonostante l’ insistenza dei genitori. Per convincerlo, il padre gli promise in cambio un regalo, e lui disse con convinzione: “Voglio la luna”.
Quel bambino era Pietro Ingrao, storico leader del PCI morto ieri all’ età di cento anni, e l’ episodio menzionato è tratto dalla sua autobiografia.
Metaforicamente, Ingrao la sua luna chiamata comunismo l’ ha desiderata per tutta la vita, al punto di essere definito per sua stessa ammissione “l’ acchiappa nuvole”.
Ingrao il sognatore, l’ utopista, il comunista.
La storia di Ingrao mi riporta alla mente le parole di un monologo di Gaber:
“Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri, perché sentiva la necessità di una morale diversa.
Forse era solo una forza, un volo, un sogno, il desiderio di cambiare le cose”.
Difficile dire con esattezza perché Ingrao fosse comunista, certo è che la sua figura è emblema di una politica in cui ancora contavano la passione e le idee, a prescindere da quali queste fossero.
Pietro Ingrao è morto ieri, la sinistra italiana già da un po’ e, cosa più grave, è venuta meno la convinzione che la politica possa essere il punto di collegamento tra lo stato e i cittadini, nonché lo strumento attraverso il quale ottenere le conquiste economiche e sociali.
Una politica che non crede e non fa credere più a niente, perde inevitabilmente di credibilità.
Della vita di Ingrao si sa tanto e si è raccontato praticamente tutto.
Io, nel mio piccolo, voglio porre in evidenza una sua frase:
“Qualsiasi linguaggio che offenda l’ avversario è inaccettabile.
Non c’ è bisogno della parolaccia in politica: si può essere molto duri e severi senza mai superare certi limiti.”
Parole quanto mai attuali in una società in cui l’ offesa sembra essere strumento immancabile ed indispensabile all’ interno di qualunque confronto o discussione: insultare chi la pensa diversamente è diventato il modo più rapido per affermare il proprio pensiero.
E le parolacce? Le parolacce in politica sono oramai così frequenti da non suscitare né clamore né, tanto meno, sdegno.
La volgarità diventa ordinaria, e quel concetto di limite (soprattutto etico) di cui parla Ingrao, che dovrebbe essere fondamentale in una società civile, viene continuamente oltrepassato senza neanche rendersene conto.
Ma, d’ altronde, Pietro Ingrao era il bambino che voleva la luna: “l’ acchiappa nuvole”, l’ utopista, il comunista.
Tra l’ altro, quel monologo di Gaber si conclude così:
“E oggi, ci si sente come in due: da una parte l’ uomo che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana, e dall’ altra il gabbiano, senza più neanche l’ intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito: due miserie, in un corpo solo”.
L’ auspicio, però, è che Ingrao questo finale non lo abbia ascoltato.