Per quanto mi riguarda

Per quanto mi riguarda

Porc@#!0, mi hanno sparato alla testa!!! Come “che ti bestemmi”? Per quanto mi riguarda quando succedono queste cose avverto l’urgenza di soppesare la realtà dei fatti confrontandola con qualcosa che non esiste per capire se sta succedendo veramente. Tu chiamali se vuoi “bestemmioni”, io la chiamo “voglia di vivere”. E contro la voglia di vivere c’è poco da fare: hai assolutamente bisogno di fare ciò che il tuo istinto detta, ciò che magari ti può fare stare bene o almeno meglio. Non puoi negartelo. Quale divinità potrebbe incolparti di un qualcosa che punta dritto verso il tuo bene? Le spalle larghe devono averle loro, non io. Non tu. Lo scambio dei ruoli, ecco, quello sì che sarebbe presuntuoso. Ed il carattere presuntuoso potrebbe indicare al tuo dio la tua indole condannabile. Stacci attento!

Mi hanno sparato alla testa e sanguino un misto di linfa vitale e lacrime. Non è proprio come avere il terzo occhio. Sembra più una buona via di uscita per spurgare l’occlusione che ti porti dentro.

E se chi mi ha sparato in testa volesse solo aiutarmi? Posso pensarci. L’alito di masochismo che mi trascino dentro per i momenti brutti mi permette di poterla considerare tra le possibilità da considerare.

E se chi mi ha sparato in testa l’avesse fatto per uccidermi? Posso pensarci. Ci penso. Si fotta, lui e la sua mira approssimativa figlia del suo tempo approssimativo che si accoppia senza sentimento con governi approssimativi composti da persone approssimative coperte da chi sa bene che l’approssimazione è una possibilità da sfruttare specie se non te ne accorgi.

Ora che guardo la camicia zuppa del mio sangue non mi resta che spogliarmi. Sbottono la camicia, svarionando. Me la metto in testa. Sono il cacciatore che non ha trovato la preda e “Mao!” prova a rimanere in vita benché poco affascinato dell’alternativa. Ma contro lo spirito di sopravvivenza c’è poco da fare. You know. E poco a poco si fa strada la consapevolezza che se davvero vuoi vivere devi (devi!) considerare che la vita è la vita. Non siamo all’asilo. Quello lo hai fatto. Non siamo alle elementari. Hai fatto anche quelle. Non siamo alle medie. Eri brutto durante la fase di sviluppo ma è passata. Non siamo alle superiori e ricordarsi di quanto sia stato bello farsi le canne in bagno l’anno dell’autogestione non ti convincerà a credere che potesse essere davvero quella la vita. La vita è la vita, bello mio. Siamo nella vita e nella vita succede che ti sparino in testa. Sì! Succede che non te ne accorgi, sì! Succede che sanguini tutto il sangue che hai in corpo ma resisti e vivi, e vaffanculo a chi si aspettava di vederti stramazzare a terra.
Che cosa potremmo definire “terminale” componendo correttamente una domanda della quale conosciamo già la risposta? Fregatene e controlla la camicia. Io la sto strizzando. Parlando a te parlo anche a me stesso. Empatia, portami via. E se ti dico che non ne avrei voglia tu non devi credermi. Devi solo considerare che mi hanno appena sparato alla testa e sanguino e l’istinto mi impone di romperti i coglioni con le domande più stupide.
Eccone una: se avessi una pistola in mano, ed io te lo chiedessi, mi daresti il colpo di grazia?
Eccone un’altra: se avessi una pistola in mano soffriresti così tanto da volerti permettere il lusso di spiegarmi cosa fare? Io ci sto.

Ma prima sparati un colpo in testa, sennò parliamo due lingue diverse e potrei non capirti, potresti non capirmi. Ti serve la mia mia camicia? No, no. Scusami questa non voleva essere una domanda, ti prendo in giro. Concedimelo, ché sanguinare così tanto qualche controindicazione dovrà pure averla…

Infilo un dito nel buco della testa. Non fa male. Lo allargo. Non fa male. Infilo un altro dito, tocco la pallottola che si è fermata lì, la sento. Allargo il buco e cerco di infilare il terzo dito. Ci sta anche quello. Assaggio il sangue, ha il sapore delle lacrime. Quello lo conosco meglio. Mi ci faccio i cocktail ogni martedì sera. Lacrime e vodka on ice, io lo chiamo White Rock. Qualche volta, se ti va, ti invito. Ma sappi che non sono sempre socievole come quando mi hanno appena sparato alla testa. Una volta ho guardato il muro per quasi due ore. Non butto sul piatto la sensazione che ho provato quando, dopo quasi due ore, ho visto il muro sgretolarsi davanti ai miei occhi. Non mi crederesti ed io non sono qui per venderti le mie esperienze passate. Questo è il presente.
La borsa valori non mi ha mai appassionato e per questo ringrazio i ragazzini che eravamo a metà degli anni 80, quelli che si ritrovavano nell’androne di uno dei palazzi del quartiere per giocare a quel Monopoly costruito meticolosamente e pieno di accorgimenti e di colori primari davvero strabilianti in ognuna dei dettagli delle sue parti per essere frutto del lavoro di ragazzini alle prese con i cartoni della pizza. Deve essere stato in uno di quei pomeriggi dentro il fresco dell’androne di un palazzo che ho capito quanto facesse schifo l’edificazione verticale. Rivolsi il mio orizzonte altrove. Un mondo fantastico nel quale oggi mi hanno sparato alla testa, nel quale mi rivolgo all’inesistente per non caricare nessuno di colpe la cui natura ancora mi sfugge, nel quale sto reagendo provando ad infilare la mia mano più piccola, la sinistra, per prendere ed estrarre la pallottola che si è fermata dentro il cervello, ai bordi di una sinapsi testarda al punto di chiedere il rispetto che le è dovuto.

Bene, la tocco. Cristo, ce l’ho! La tiro fuori. Avvolgo la camicia sulla testa, non morirò dissanguato perché era diluito con le lacrime. Non si muore così. Non mi guardare male, non ho fatto alcun corso di primo soccorso. Scorgo soltanto i segnali e mi affido al minimo sindacale che l’istinto dovrebbe garantirmi se non vuole che io consideri davvero la vita una grande presa per il culo.
È nella mia mano. È l’imprasto nudo. Lecco via i fluidi dal proiettile per pulirlo. L’ogiva sembra perfettamente bilanciata, costruita sapientemente in modo da colpire con precisione balistica, roba al millimetro. Quella che mi sembra una leggera asimmetria non conta perché verrà compensata dalla rotazione. Non riconosco il calibro ma riconosco il piombo. Stacco con i denti il dischetto di rame, intatto nella non esplosione. Ne fuoriesce un getto grigio di un odore e di un sapore che non ho mai sentito in vita mia. Mi ci abbevero. Mi sento meglio. Il getto non si ferma e mi sazio e mi sento sempre meglio. Vorrei del ghiaccio, maledette consuetudini. Il buco in testa si rimargina. Riesco a sentire chiaramente la ricostruzione ossea del cranio, la rinascita delle diploe cranica al suo interno, l’ammantarsi caldo del cuoio capelluto. La ricrescita è immediata. Il proiettile smette di sgorgare e adesso scotta. D’istinto lo lascio cadere. D’istinto lo scalcio lontano facendo attenzione a non colpire nessuno nei paraggi. Dio non esiste e se anche esistesse non credo farebbe da scudo perché non fa parte di dogmi. Io non esito, ma chi se ne frega?
Per quanto mi riguarda, questa storia la possiamo chiudere qui

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