Riace torna alla ribalta della cronaca nazionale. Il quotidiano “Il Tempo” denuncia un conflitto d’interesse tra il vicesindaco Maria Spanò e l’azienda di suo marito
Si è da non molto concluso il lungo processo a danno di Mimmo Lucano e degli enti che a Riace si occupavano di accoglienza (e si è concluso con un enorme ridimensionamento della condanna di primo grado) che il paese dei bronzi torna alla ribalta della cronaca nazionale.
Stavolta è il quotidiano indipendente “Il Tempo”, con un articolo firmato da Gaetano Mineo, a portare all’attenzione dell’opinione pubblica una determina che fa gridare al conflitto d’interessi.
Ecco cosa scrive Mineo: “Lo scorso 26 marzo, quando ormai la sua decadenza era un fatto acclarato, Lucano ha nominato vicesindaco Maria Spanò, assessora ai Lavori Pubblici. Una mossa che di per sé rappresenterebbe un abuso, considerato che un sindaco decaduto non avrebbe più alcun potere di nomina. Ma ciò che stupisce ancora di più è che appena due giorni dopo questa nomina, quindi il 28 marzo, il Comune ha affidato (Determina R.G. n. 88 e R.G. 58) alla ditta proprio del marito della Spanò, Giovanni Nisticò, un appalto da 114.058,26 euro per la riconversione di una mensa scolastica. Nisticò non è un imprenditore qualunque: è stato condannato, tra gli altri, insieme allo stesso Lucano, dalla Corte dei Conti per danno erariale per oltre 4 milioni, e in passato ha ricoperto proprio la carica di assessore ai Lavori pubblici. Ora, con sua moglie vicesindaco e titolare della stessa delega che fu sua, il conflitto d’interesse sembra esserci tutto”.
Abbiamo cercato invano la determina citata sul sito ufficiale del comune di Riace, ma l’albo pretorio appare desolatamente vuoto.
“Il Tempo” aggiunge anche: “A completare questo quadro desolante c’è la situazione dell’ufficio tecnico comunale, che dovrebbe garantire la regolarità delle procedure. Ebbene, la sorella del responsabile dell’ufficio tecnico è sposata con il fratello di Nisticò. Una coincidenza che, unita a tutte le altre, disegna il ritratto di un sistema chiuso, dove gli appalti e le nomine sembrano seguire logiche di clan piuttosto che criteri di trasparenza e merito”.