Olimpiadi, ius culturae e autonomia differenziata, la riflessione di Francesco Violi
Cittadini… eroi.
Sono finite da poco le olimpiadi di Parigi, tralasciamo le polemiche che spesso accompagnano gli eventi mondani e le rivalità che la competizione mette in risalto. Ogni paese ha mandato gli uomini e le donne migliori nelle varie discipline alfine di portare a casa qualche medaglia e dimostrare agli altri il proprio valore come nazione in leali competizioni sportive. L’Italia, governata da partiti nazionalisti non poteva fare brutte figure, e avendo atleti, sul nostro territorio, stranieri pur essendo nati in loco, ha fatto in modo che potessero acquisire la cittadinanza italiana per “meriti sportivi”. Operazione non indolore viste le idee della maggior parte della compagine governativa che risulta ancora ancorata alla legge “Bossi- Fini” (che non verrà mai toccata) e a concetti come la “sostituzione etnica” , “ l’invasione africana” ecc. Gli atleti, si sono comportati piuttosto bene, ma da parte di esponenti politici non sono mancate frecciatine cretine verso alcuni di loro, tipo: “ma la medaglia l’ha vinta l’Italia o il Congo” e altri interventi omofobi che fanno venire i brividi per quanto sono inopportuni. Penso che agli italiani non interessino queste cose, ma tra gli esponenti del governo qualcuno si è chiesto cosa fare dell’altro milione e mezzo di adolescenti nati in Italia da genitori stranieri che non sono ancora cittadini italiani e non lo saranno mai senza una richiesta e un lungo iter dopo aver compiuto 18 anni. Intendo quelli “normali” che non hanno particolari doti atletiche, che magari sono bravi a scuola che studieranno diventeranno medici, ingegneri, operai specializzati, manager, economisti, ecc… Professioni che andranno a svolgere in un paese che li accoglierà senza distinzione demagogica come nel nostro, insomma faranno parte dei tanti cervelli in fuga. Loro parlano bene la nostra lingua che considerano lingua madre ed è difficile distinguerli a prima vista dai coetanei “italiani” in quanto la maggior parte provengono da paesi europei ed hanno gli stessi tratti somatici degli “italiani”. Bisognerebbe fare la cittadinanza “europea”: come mai un rumeno , un francese che viene in Italia ed entra senza bisogno del passaporto perché proveniente da un paese della Comunità Europea viene considerato straniero? La stessa cosa vale per i figli , ovviamente. Non essere cittadini italiani presenta degli inconvenienti: ci sono ragazzi che aspirano ad entrare nell’esercito, nelle forze dell’ordine, vorrebbero fare concorsi pubblici, vorrebbero votare, aspirazioni precluse perché non hanno la cittadinanza.
Qualche esponente del governo si è accorto di questa anomalia e sta cercando di porvi rimedio. Propongono, fatta loro, un’ idea della sinistra lo “ ius culturae”, cioè che chi frequenta cinque anni di scuola in Italia possa avere la cittadinanza italiana. Mai si dica comunque che sono d’accordo con l’opposizione: è una loro proposta! (prevedono almeno un milione di voti in più alle prossime elezioni). Forse questa è la volta buona, le opposizioni voterebbero la proposta senza problemi, passerebbe subito: è un passo avanti. Ma la Lega che si batte da sempre per considerare “ stranieri” persino i meridionali (e ci sta riuscendo con l’autonomia differenziata) si è fermamente opposta scagliandosi contro l’iniziativa. Non se ne farà niente, per il quieto vivere , nascondono la spaccatura che c’è tra i partiti di governo e continueranno ad arrancare così fino alla fine della legislatura: Il nemico è la sinistra che sta all’opposizione. E’ più facile che propongano di cambiare la legge che non consente ai “non Italiani” di entrare nelle forze dell’ordine o dell’esercito… Forse presto avremo la nostra “Legione Straniera”, mai, comunque, diventeremo un paese normale, un paese dove tutti avranno le stesse opportunità e in cui non esisteranno, di fatto, abitanti relegati in un ghetto e senza futuro finché non vanno via. Eppure la nazione avrebbe bisogno di quelle risorse umane che emigrano dopo essere state formate per sostenere il tessuto produttivo e i servizi essenziali! Ma qualcuno non la pensa così, evidentemente.
F. Violi.