Dall’inferno dell’Iran alle carceri calabresi, la storia di Marjan Jamali
Il 17 giugno, come Comitato “Free Marjan Jamali” insieme alla Rete 26 Febbraio, abbiamo preso parte, presso il Tribunale di Locri, alla prima udienza del processo in cui la giovane iraniana Marjan Jamali, fuggita dal suo paese in cerca di condizioni di vita più umane per lei ed il figlio di 8 anni, è ingiustamente accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Scampata dalla violenza domestica che nel contesto del regime iraniano non ha alcuna persecuzione giuridica, arrestata appena due giorni dopo lo sbarco, avvenuto a Roccella il 26 ottobre 2023, e subito tradotta nel carcere di Reggio Calabria, Marjan, il 27 maggio, ha finalmente ottenuto dal Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, gli arresti domiciliari e si è potuta ricongiungere con il suo bambino. Ma il suo incubo continua. L’accusa contro di lei si basa esclusivamente sulla testimonianza dei tre iracheni che l’hanno sessualmente molestata durante la traversata. Numerose irregolarità hanno caratterizzato le indagini e le fasi preliminari del processo. Vogliamo segnalare che oggi, all’inizio dell’udienza, il collegio giudicante ha rigettato la richiesta di poter effettuare riprese fotografiche, al fine di “evitare un’eccessiva esposizione mediatica del processo”. L’avvocato difensore ha sottolineato le difficoltà riscontrate nell’accesso agli atti del procedimento ed ha depositato contestualmente la ricevuta del pagamento dei 14.000 dollari versato dalla famiglia di Marjan ad un’agenzia turca, come pagamento del viaggio suo e del figlio per l’Europa. La nostra presenza alle udienze s’impone per far sentire a Marjan tutta la nostra solidarietà e vicinanza e per esprimere il nostro dissenso verso leggi come il Decreto Cutro e il Decreto Piantedosi e lo stesso articolo 12 del Testo Unico Immigrazione, che criminalizzano le stesse vittime della tratta di esseri umani e stanno portando alla deriva la giustizia italiana sulla pelle di persone innocenti. Marjan è sfuggita da soprusi e violenze in Iran, ma come Maysoon Majidi, l’attivista curda iraniana arrestata e detenuta anche lei qui in Calabria ma a Castrovillari, è finita nel tritacarne della giustizia del nostro Paese in cerca di capri espiatori, così come tanti altri migranti. Persone che scappano da persecuzioni di ogni sorta, cambiamento climatico, guerre per cercare una vita migliore, un futuro diverso da quello a cui sono destinate per colpa di un sistema d’ingiustizie globalizzate.
Il loro caso è ormai denunciato a livello nazionale ed europeo. Non possiamo fare a meno di ripensare all’ondata di sdegno e tagli di capelli solidali che si è sollevata dalle fila delle nostre deputate di vari schieramenti politici, durante le fasi più accese della rivolta Donna Vita Libertà, che ha infiammato l’Iran, proprio a partire dalle province curde e bollarla oggi come frutto di grande ipocrisia. Abbiamo già dimenticato la violenza della polizia morale, la repressione e le condanne a morte? Noi non vogliamo essere complici di questa ipocrisia. La libertà di movimento è un diritto non è un reato. Ora più che mai è necessario fare pressione, affinché Marjan e Maysoon vengano liberate e le leggi ingiuste vengano cancellate. Saremo presenti alla prossima udienza, che si terrà il prossimo 8 luglio, in cui saranno ascoltati gli investigatori e i testimoni dell’accusa.
Comitato “Free Marjan Jamali”