Il sonno della ragione genera mostri
Di Cosimo Cavallaro
In un mondo senza memoria, malato di amnesia colpevole, un odio indomabile alimenta guerre spaventose quanto inutili. Mai, nella storia dell’umanità, la violenza distruttiva ha risolto i conflitti tra i popoli. L’ultima guerra è come la prima e, nonostante la ferma convinzione dei militaristi più accaniti, ogni conflitto getta le basi per alimentare nuove ostilità, sempre più cruente grazie al progresso della tecnologia bellica. Ad ogni trattato di pace altro non si è fatto se non coprire con macerie e cadaveri la brace ancora calda sotto la cenere intrisa di sangue. Ed è curioso quanto tragico osservare con quale accanimento e ferocia si combatte per affermare la propria “civiltà” mentre, al contrario, bisognerebbe combattere, giorno dopo giorno, per adottare ciò che valorizza le diversità delle varie culture.
Ma se è vero che “il sonno della ragione genera mostri” come scrisse Piero Calamandrei, uno dei padri della nostra Costituzione, e come raffigurato nella famosa acquaforte di Francisco Goya, ancor più vero è il fatto che le guerre moderne, abbattendosi con ferocia assurda in larghissima parte su “civili” inermi, seminano morte a piene mani e alimentano incubi terrificanti in quella parte minoritaria dell’umanità incapace di ostentare indifferenza di fronte ai massacri. Con una faccia più tosta della pietra i “falchi” vorrebbero convincerci che le nazioni più progredite guerreggiano per una causa giusta; che bombardano per esportare la Democrazia utilizzando bombe intelligenti come capre. Ma quando si spegne l’ultimo incendio e si dirada il fumo dalle macerie, la risposta all’ipocrisia dei guerrafondai e all’atrocità della guerra giunge chiara e inoppugnabile dai corpi fatti a pezzi di quelli che erano bambini, donne o uomini di ogni età, con un’unica ambizione: vivere in pace.
In un contesto sempre più tecnologico anche le guerre si trasformano in eventi mediatici da esibire a coloro che, mantenendo il culo al caldo, assistono all’ennesima carneficina dimenticando che ogni battaglia può essere raccontata, nella sua crudezza, solo dai reduci. Il volto dell’orrore entra nelle nostre case portando con sé il puzzo acre della morte violenta; ci mostra quanto sia ipocrita e bugiarda la propaganda bellica e come, nell’ultimo secolo, i quartieri di grandi città e interi paesi sparsi sulla faccia della terra, vengono rasi al suolo e ridotti a cimiteri a cielo aperto negando, alle innumerevoli vittime, la pietà umana. Sono finiti i tempi in cui l’esito delle battaglie veniva deciso dalla lotta, corpo a corpo, tra soldati arruolati su fronti opposti. Oggi il carnefice non ha bisogno di guardare in faccia le proprie vittime; si può ostentare indifferenza o brindare alla vittoria del proprio Paese mentre si preme un pulsante che scatenerà la potenza distruttiva di un mostro tecnologico o mentre si istruisce un algoritmo che guiderà il terrore, sotto forma di missile o di drone, verso il bersaglio individuato su un monitor. Un cinismo da belva feroce si insinua nell’animo di chi definisce la morte di vittime innocenti, nemici di turno, come una conseguenza inevitabile salvando la coscienza dalla minaccia di incubi notturni.
Essere pacifisti o, più correttamente, “non violenti” non è mai stato facile. Ben che vada si è considerati vigliacchi! E, se la propaganda di regime batte la grancassa, la voce degli interventisti si fa stentorea e si può giungere ad essere additati come traditori, ipocriti, rinnegati o, quando la vergogna riesce a mettere un freno, anime belle; un po’ come dire idioti. Ma noi antimilitaristi, pecore nere in un gregge di fanatici, non dismettiamo l’armatura; lo dobbiamo alla nostra coscienza, stanca e vilipesa dalle atrocità, dalle sofferenze e dal terrore che ogni guerra perpetua. Con la certezza che ci deriva dall’essere propulsori di civile convivenza tra i popoli, ci opponiamo con tutte le nostre forze all’arroganza di chi guerreggia non accennando a tregue, senza paura di cadere nella retorica moralista o di essere catalogati come inutili interferenze.
Potremmo fare i nomi dei popoli in guerra in questi tempi bui, ma cosa cambierebbe? Per noi, difensori della pace a tutti i costi, coloro che seminano il terrore in qualunque forma, pari sono; siano essi di carnagione bianca, nera o gialla; siano essi comunisti o fascisti, cristiani, musulmani o di qualsivoglia credenza religiosa. La pace è un bene universale, senza confini, troppo preziosa per essere relegata nell’ombra delle bandiere degli Stati. L’umanità di tutto ha bisogno tranne che di soldati belligeranti che abbattono la loro furia ferina sui civili. Sappiamo benissimo che le guerre non iniziano mai per caso, ce lo insegna la storia. Sappiamo anche che dietro ad ogni conflitto vi sono sempre motivazioni più o meno valide ma, per quanto si cerchino scuse per scannarsi l’un l’altro, dobbiamo essere consapevoli che il motivo cardine è sempre lo stesso: la prevaricazione dell’uomo sull’uomo, di un popolo su un altro, di una nazione su un’altra. Tutto questo ha nomi tra loro sinonimi: “dominazione, supremazia, potere”. Per questo in tempo di pace bisogna adoprarsi per prevenire l’eccessivo rafforzamento di poteri dominanti in ogni campo: economico, culturale, politico o religioso.
Vorremmo essere ottimisti e pensare che presto scoppierà la pace, che l’etica prevarrà sulla disumanità. Ma l’esperienza e la realtà odierna, costellata di arsenali militari immensi concentrati in poche nazioni ricche, non giocano a nostro favore. La fuga disordinata di popolazioni in guerra, le povere masserizie trasportate a dorso d’asino, le deflagrazioni delle bombe, la ferocia del terrore e le urla disperate delle vittime innocenti, dei giovani e dei bambini, predominano nel nostro inconscio. Non ci rimane che confidare nella speranza che la ragione possa risvegliarsi prima che sia troppo tardi!
Cosimo Cavallaro