Bruno Grenci: “Il lungomare di Caulonia rischia di diventare un cesso”
Forse è ormai troppo tardi, le decisioni sono state già prese e siamo qui a piangere il latte versato. Anche se io penso che l’ultima parola dovrebbe spettare alla politica e non ai “tecnici.” Non mi risulta che in Italia, a qualsiasi livello istituzionale, siamo sotto la dittatura dei “tecnici”, che non sono eletti dal popolo, non rispondono al corpo elettorale; e che possiedono, bontà loro, la padronanza di un solo aspetto delle scelte politiche, che invece dovrebbero essere più ampie, di contesto e di visione olistica, mi verrebbe da dire.
Tuttavia sappino i politici, o, sarebbe più appropriato, gli amministratori, che vi sarà sempre una post-ultima parola che sarà quella, un giorno, del corpo elettorale.
Il tema è, con buona pace delle opposizioni cauloniesi, in altre faccende affaccendate, la trasformazione dei connotati del nostro lungomare. Ma che ci guardiamo bene dal chiamarlo lungomare. Purtroppo! Ora si chiama con un altro nome! “Uoterfront”; ammazza! … direbbero a Roma.
Ormai, trafitti e oppressi dagli inglesismi e dalla becera moda di usare termini difficili per sentirci “trend”; che ci fa più “cool”; in ossequio al “main stream”; inseguendo gli “opinion maker”; in attuazone del “new generation eu”; in un “trash” linguistico e sub-culturale da voltastomaco, non riusciamo a dire un comunissimo e artigianale “fronte mare”, o “vista mare”, o semplicemente “lungomare”. No cari signori, ecco a voi il Water-front. E poi dato che per quasi due anni rimarrà chiuso per i lavori, il nostro “uoter” rischierà di diventare un “water close”, si un WC, haimè! Un cesso. E Dio non voglia.
E la cosa più paradossale, che rende impotenti, è il fatto che non c’è nemmeno con chi prendersela. C’è un comune capofila che ci ha coinvolti, Roccella Jonica che ci ha messo fretta per accedere ai fondi. Ci sono i progettisti, tutti non cauloniesi, che non hanno avuto il tempo per chiedere pareri e suggerimenti, e che fanno il loro sacrosanto lavoro. C’è l’amministrazione comunale di Caulonia, che si è premurata di presentare il progetto al Paese, anche se ormai era stato reso esecutivo, e i lavori consegnati alla ditta.
Salvo, la stessa amministrazione, per bocca dell’Assesssora Caraffa, disponibile e aperta a ogni possibilità, dichiarare che qualcosa si può rivedere in corso d’opera. Come pure il sindaco Cagliuso si è reso disponibile a parlarne e a salvare il salvabile. Aperture e atteggiamento democratico che non abbiamo visto in altri recenti e ormai per sempre seppelliti frangenti.
Ora il salvabile, a mio avviso, sarebbe di evitare almeno di demolire il muretto-parapetto a onde in cemento armato che fa parte del contesto e del progetto originario del lungomare. Che, mi verrebbe da dire, fa parte ormai della nostra identità e dell’orgoglio paesano. Andrebbe solo completato con una ringhierina sottile e invisibile.
Con i soldi che si andrebbero a risparmiare evitando di demolire quel muretto, per sostituirlo con una ringhiera in ferro zincato, si potrebbero piantumare una cinquantina di alberi di alto fusto, in modo che tra una cinquantina di anni, quando tutti noi più anziani non ci saremo più, i futuri abitanti e avventori del luogo potranno dire, passeggiando e godendosi la frescura di quei maestosi alberi, “che lungimiranti e sapienti quegli amministratori che hanno fatto questa meravigliosa scelta”. Basterebbe fare una capatina al lungomare di Reggio per capire questa cosa.
E dato che ci troviamo, sono sicuro che con il risparmio derivante dalla non demolizione del muretto e quindi evitando la ringhiera nuova, penso che si troverebbero i soldi per installare una cinquantina, non dico di più, di pannelli fotovoltaici per rendere il lungomare un poco, non dico tanto, sostenibile. Dato che sostenibilità vorrebbe dire non dipendere, per esempio nell’aspetto energetico dall’esterno, ma essere autosufficienti. Quindi con quei pannelli fotovoltaici si potrebbe produrre energia elettrica almeno per i lampioni del lungomare. E, perché no, per le pompe che sollevano l’acqua per le aiuole. E, perché no, se si facesse un piccolo sforzo, anche per le pompe che mandano la nostra popò al depuratore di contrada Canne. Ma ora ho esagerato lo so. Bisognerebbe essere visionari.
Mi appello al sindaco e alla sua compagine. A coloro con cui ho parlato, che mi hanno dato assenso ma che non si espongono facilmente, ma che hanno sicuramente più autorevolezza e credibilità del sottoscritto. Per favore, vi prego, cerchiamo di evitare uno sperpero di denaro pubblico e una paralisi della passeggiata per una stagione, se non per due. Parliamone e cerchiamo di trovare una soluzione di buon senso.
Bruno Grenci