L’emigrazione secondo Cosimo Cavallaro

L’emigrazione secondo Cosimo Cavallaro

EMIGRAZIONE ATTO SECONDO – Cosimo Cavallaro

In seguito alle mie riflessioni, inviate alla Redazione di Ciavula e da loro gentilmente pubblicate il 21 settembre scorso, sono stato contattato da amici e conoscenti i quali, palesemente preoccupati dal fenomeno dell’immigrazione, hanno voluto dire la loro su un argomento così complesso e divisivo di enorme attualità.

La riflessione di Cosimo Cavallaro sull’emigrazione e la patria – Ciavula

Abbiamo discusso civilmente, cimentandoci in un esercizio di democrazia, coscienti di quanto sia difficile sottrarsi al confronto quando si possiede sufficiente sensibilità umana e quella predisposizione al dialogo che, schiavizzati dalla tecnologia comunicativa, stiamo lentamente perdendo. Concetti improntati alla concretezza, anche se non sempre esposti con dialettica pacata e appropriata, hanno vivacizzato le argomentazioni lasciandomi l’amaro in bocca nel constatare, purtroppo, quanto nella nostra società stia prevalendo, nell’inconscio collettivo, la violenza della comunicazione audio/video.

Si legge e si scrive sempre meno e per esporre i fatti e le emozioni ci si affida sempre più alle immagini e ai suoni. La lettura richiede tempo, sforzo intellettivo, riflessione e capacità cognitive; meglio affidarsi agli “emoticon”, alle icone, ai video brevi, ai messaggi vocali e agli slogan. Senza renderci conto abbiamo trasferito il concetto dell’”usa e getta” anche nella comunicazione delle notizie, delle idee e dei sentimenti mescolando, in un minestrone disgustoso, sacro e profano, gioia e mestizia. In altre parole, stiamo costruendo un mondo povero di valori, popolato da stereotipi costruiti ad arte.

Tutto può essere banalizzato e semplificato,  facilmente fruibile e manipolabile e, di conseguenza, funzionale alla nascita di nuove forme di dittatura. Non sarebbe altrimenti spiegabile il fatto che, argomentando sull’immigrazione, ovvero sulle disgrazie di milioni di esseri umani, si dialoghi come se i migranti fossero pupi e non persone in carne e ossa, con i loro gravi problemi di sopravvivenza, con i loro diritti, le loro doti e i loro difetti. Marionette senza corpo né anima che, manovrate per il tramite di fili invisibili da un ipotetico regista cinico, scritturato per gettare scompiglio in un pubblico ansioso, sono costrette ad esibirsi sul palcoscenico della cronaca.

È con questa orripilante deformazione della realtà che, da quanto constatato, si affrontano mediamente i dibattiti sull’immigrazione e, se ti poni come pecora nera, se non dimostri di concordare col pensiero unico della maggioranza, ecco che scatta la solita domanda provocatoria per metterti in difficoltà: “… ma tu cosa proponi”? Sarebbe stucchevole se un semplice cittadino, senza le informazioni e i mezzi necessari, avesse in tasca la soluzione di un dilemma tanto complesso sul quale migliaia di persone preposte, alcune pagate profumatamente e tantissime impegnate nel volontariato, si stanno cimentando da oltre trent’anni senza risultati tangibili. Un popolano come me, a mio parere, può solamente esporre alcune riflessioni, facendo affidamento sulla propria sensibilità, senza la pretesa che chi le ascolta sia costretto a prenderle in considerazione.

  • Da cittadino schierato ideologicamente non posso accettare le derive razziste e xenofobe che l’immigrazione nel nostro Paese sta scatenando ma, al contempo, cerco di comprendere, senza alimentarlo, il rifiuto dello “straniero” che scaturisce dalle paure, ma anche dai pregiudizi, dei miei concittadini più fragili. Così come cerco di capire lo svilimento che amareggia i tanti volontari, coordinati all’interno di organizzazioni umanitarie, che dedicano gran parte della vita, loro sì,  ad “aiutare a casa loro” i diseredati di questo mondo che non hanno neppure la possibilità di emigrare e, a “casa nostra”, i disperati che, rischiando la pelle, sono riusciti a oltrepassare i nostri confini, abbandonando Terre splendide depredate, in un passato recente, e ancor oggi, dall’avidità e dalla sete di potere di avventurieri orgogliosi della loro presunta “superiorità”. A tutti costoro che, senza clamore, con umiltà e sacrificio, danno lustro a quell’Italia “umana” a cui tutti dovremmo ambire, bisognerebbe dimostrare la stessa gratitudine che attestiamo ai nostri militari impegnati nelle missioni umanitarie all’estero.
  • Da cittadino laico, ligio all’insegnamento etico, sono stanco di appartenere ad una società in bianco e nero, senza sfumature, dove i cittadini sono catalogati, con una terminologia becera che soltanto un leghista poteva concepire, in “buonisti” e “cattivisti”. Dal mio punto di osservazione, essere buonista non significa essere mite ma, semplicemente, affrontare le problematiche senza perdere di vista la dignità umana, l’unico valore che ci differenzia dalle bestie. Altro che soccombere! La vita del buonista è una dura battaglia quotidiana contro chi teorizza una società fondata sull’edonismo individualista. Il buonista è colui che non rinuncia ai piaceri del benessere ma pone un limite alla sua avidità perché ha capito che le risorse terrene non sono infinite; ha capito che per compensare gli sprechi e gli extra profitti degli imperi economici, milioni di persone devono accontentarsi delle briciole; ha capito che non riuscirà a debellare la fame nel mondo ma, rinunciando al superfluo, può contribuire a limitarla. E se tendere la mano per aiutare i meno fortunati significa essere buonista, ebbene, viva coloro che perseverano nel praticare il buonismo emarginando nel deserto dell’indifferenza il cattivismo.
  • Da cittadino schierato politicamente non posso ignorare che, negli ultimi trent’anni, l’Italia è stata governata, tranne alcune pause più o meno lunghe, prevalentemente da maggioranze di Destra-Centro. Ciò significa che l’attuale Maggioranza di Destra pura, che ha vinto le elezioni puntando sulle paure e le ansie degli italiani, ha avuto molto tempo e occasioni per studiare il fenomeno dell’immigrazione, eppure… Eppure, rieccoci qui a riproporre iniziative già viste e che non hanno funzionato o a cercare soluzioni furbette come, ad esempio, ostacolare l’operato delle ONG, pagare la complicità dei governi di Paesi dai quali partono in prevalenza i migranti, inventarsi una tassa da far pagare ai “derelitti ”per non entrare nel mondo oscuro dei CPR, etc. Tanti espedienti che hanno un solo significato: l’immigrazione non è considerata un dramma umanitario ma una semplice questione di ordine pubblico. Non mi sembra che si siano preparati molto e, se un ministro della repubblica, utilizzando un linguaggio burocratese che farebbe impallidire quel Dio che la Destra vuole difendere, può permettersi di considerare degli esseri umani alla stregua di “carico residuale”, allora vuol dire che, se hanno studiato, probabilmente non hanno capito la lezione.
  • Da cittadino utopista penso che ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che l’emigrazione è un fenomeno globale e che, di conseguenza, la soluzione dei problemi che essa comporta non può essere demandata, esclusivamente, alle nazioni di confine nelle quali arrivano i migranti. Ciò significa che per coordinare le complesse operazioni legate all’accoglienza in tutte le sue forme, compresa la redistribuzione, vi è un’unica organizzazione che può e deve intervenire in quanto rappresentativa di tutti i popoli del mondo: l’ONU. Per noi italiani, tra l’altro, è velleitario pensare che  sia sufficiente chiedere l’aiuto di quella che chiamiamo Europa ma che, in realtà, sarebbe più giusto chiamare Unione Europea in quanto, nel ricco continente europeo, oltre a nazioni non aderenti al trattato, vi è anche quella che maggiormente si è avvantaggiata grazie alle sue innumerevoli colonie. Sto alludendo alla Gran Bretagna che, in seguito alla Brexit, non appartiene più all’unione ma non può chiamarsi fuori solamente per il fatto che i profughi non sbarcano sulle sue coste. Ma alludo anche agli Stati Uniti perché molti migranti giungono dall’Afghanistan dove gli americani hanno speso buona parte del loro prestigio, salvo poi darsi alla fuga disordinatamente abbandonando il popolo afghano nell’oscurantismo dei Talebani. Sia quindi demandato all’ONU, finanziata da tutte le nazioni con una percentuale del loro PIL, il compito di gestire centri di accoglienza nei Paesi di confine e agenzie di collocamento in quelli di origine dei migranti. Nei Paesi ricchi, votati al consumismo sfrenato, la paura di perdere il benessere, vero o presunto, ha reso gli animi troppo agitati e, di conseguenza, si è persa quella lucidità mentale indispensabile per affrontare con la dovuta freddezza il fenomeno dell’immigrazione. Decidere il destino delle persone è un lavoro “sporco”. Occorrono funzionari  “neutri”, non asserviti ai singoli governi, alle dipendenze di un organismo super partes; occorre indagare su ogni singolo caso e, solo quando sarà evidente se vi sono e quali sono i diritti del migrante (richiedente asilo, migrante economico, etc.) e le sue aspirazioni (ad esempio ricongiungimento familiare), sarà possibile individuare quale potrebbe essere la destinazione più conforme per il suo futuro, compreso il rimpatrio in caso di delinquenti. E se il governo della nazione individuata si rifiuta, non dovrà giustificarsi con un singolo Stato nascondendosi dietro il paravento di un accordo bilaterale, ma dovrà farlo con la comunità internazionale, con tutti i rischi di perdita d’immagine e di eventuali sanzioni che ne potrebbero derivare. È un lavoro enorme che deve iniziare nel Paese di origine e terminare in quello di approdo; un lavoro sfiancante che richiede di coniugare inflessibilità e rispetto dei diritti umani. Ecco una serie di motivi per causa dei quali i singoli Paesi, dopo oltre trent’anni, non hanno ancora trovato una soluzione.

Tutto questo è utopico? In un mondo dove l’unico parametro di misura è la ricchezza individuale la risposta è “sì”. Ma non possiamo concederci il lusso di sprofondare nel pessimismo. Così come gli Ebrei attendono la venuta del Messia, noi laici attendiamo, speranzosi, la comparsa di statisti che trovino il coraggio di dare sostanza all’utopia dietro la quale si occultano atroci sofferenze ma anche deserti e mari disseminati di cadaveri.

Concludo queste brevi riflessioni lanciando un appello alla classe dirigente di quei Partiti della Sinistra che, seppur disuniti, rappresentano, a mio parere, l’unico baluardo contro la deriva etica che tanti danni sta causando e verso la quale ci stiamo avviando inesorabilmente. “Cari compagni, amici, condomini o come cavolo volete chiamarvi, non pensate che il tempo dell’attendismo non solo è finito ma è già in putrescenza? La maggioranza degli italiani ha perso la fiducia nella politica e voi, impassibili come l’orchestra del Titanic, perseverate nella ricerca inconcludente di ricette insipide lasciando il palcoscenico a una Destra incapace, rozza, xenofoba e demagogica. Purtroppo, in materia di immigrazione, avete già perso due occasioni. La prima è stata quella di non rivedere la legge Bossi/Fini quando ne avevate la possibilità e la seconda, a mio avviso più grave, quella di non aver capito fino in fondo il valore e la bontà del ‘Progetto Riace’, abbandonando a sé stesso Mimmo Lucano fino all’auto distruzione, ben sapendo che si stava avventurando, senza mezzi sufficienti, su un terreno scivoloso, irto di ostacoli e popolato da sirene ingannatrici. Ma se è vero che ad ogni errore si può porre rimedio, ora è tempo di dimostrarlo. Le sfide del governo di Destra sono evidenti e molteplici, e tantissimi cittadini democratici attendono con ansia che, seppur spaccati in mille rivoli, troviate la forza morale, ma soprattutto il coraggio, per ricomporvi e convergere verso l’uscita di quel tunnel nel quale vi siete smarriti. Sono certo che, come noi cittadini, anche voi avete maturato la consapevolezza che la vostra sconfitta coincide con l’annullamento dei diritti civili nel nostro Belpaese. Ad maiora semper ”.

Foto di repertorio

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