Riace: da città dell’accoglienza a luogo del rigetto
di Cosimo Cavallaro
Ho letto con curiosità l’articolo su Ciavula relativo al festeggiamento dei cinquant’anni dal ritrovamento dei bronzi nella cittadina di Riace e, come spesso capita a quelli come me, perennemente “fuori dal coro”, quando leggono notizie su eventi che fanno a pugni tra loro, si spalancano le cataratte delle considerazioni antropologiche più variopinte.
I “Bronzi di Riace”: un capolavoro dell’arte ellenistica che tutto il mondo ci invidia. Due statue bronzee di raffinata bellezza ritraenti due guerrieri nudi immortalati nella loro virilità. Una raffigurazione plastica di migranti di altri tempi, quando la Lega Nord non aveva ancora arrecato danni perché non rappresentava nemmeno un embrione, giunti sulle nostre coste calabre a bordo di “barchini e barconi”, con propulsione a remi e braccia, per rubare il lavoro, la terra e le donne dei calabresi. E poiché all’epoca non avevano ancora inventato lo smartphone per cui non potevano stravaccarsi sulle nostre panchine ad ascoltare i vocalizzi “poviani”, cosa si sono inventati per far incavolare i nostri avi? Hanno portato con sé gli aedi i quali, poetizzando in una lingua incomprensibile, potevano raccontare tutte le fesserie che passavano loro per la testa come, ad esempio, “Kaulon ladrona” certi di non essere compresi dagli oriundi. Quasi come Povia che forse canta bene ma, a detta di molti, se apre bocca per parlare sproloquia ed è capito solo da quelli che la pensano come lui. Troppi.
Si dirà che questa non è cronaca ed è vero. Il mestiere del giornalista non mi appartiene ma sono convinto che questo aspetto non sia molto importante perché, oggi, l’attualità in Calabria ce la raccontano bene quelli che hanno sempre affermato: “padroni a casa nostra”. E se noi calabresi li abbiamo importati spalancando loro le nostre porte, a “casa mia” significa che abbiamo permesso loro di farla da padroni nella nostra regione facendoci imbonire e contagiare dalle loro idee e dalle loro ossessioni. E con quel vezzo caratteristico della maggioranza di noi meridionali ovvero con l’atteggiamento di sudditanza piuttosto che di cittadinanza, eccoci qui pronti ad essere arruolati, a nostra insaputa, tra i razzisti europei. Se con tanta fatica si cercava di fare un passo in avanti, è bastato un attimo di distrazione per fare come i gamberi: due passi all’indietro. Capita così che i festeggiamenti per il ritrovamento di un pezzo delle nostre radici vengano delegati ai sodali di coloro che sostengono che “con la cultura non si mangia” ma la si può usare per propagandare le panzane e inneggiare al neo-borbonismo.
Ma se è vero che, nonostante il fatto che oltre il 50% di noi sia stato costretto con le pezze al sedere a radicarsi nei più svariati paesi del mondo, noi calabresi rappresentiamo gli xenofobi dell’ultima ora, ciò è dovuto al fatto che rispetto agli italici del Nord reagiamo a scoppio ritardato. Ma, testardi e coriacei come siamo, quando ci incamminiamo sulla strada sbagliata lo facciamo fino in fondo riuscendo a farci più male in due anni che in secoli di sudditanza. Se qualcuno è in grado di spiegare diversamente come è possibile che una località come Riace si trasformi, in un arco di tempo così breve, da “città dell’accoglienza” a “luogo del rigetto” si faccia avanti. Il dibattito è aperto anche se Riace è chiusa ai migranti ma aperta ai leghisti.