Reggio Calabria, azienda subì tentativo di estorsione. Le indagini svelano gestione di rifiuti speciali pericolosi
Nell’ambito dell’azione investigativa “Mercato Libero”, si inserisce l’attività, diretta dal Sostituto Procuratore DDA Sara Amerio, che ha consentito ai Carabinieri del Nucleo Investigativo cittadino di sviluppare le iniziali indagini relative ad un tentativo di estorsione perpetrata il 2 agosto 2017 in danno della impresa PA.E.CO. s.r.l., azienda lucana impegnata nella realizzazione dell’opera pubblica avente ad oggetto la riqualificazione del quartiere Ravagnese, collegamento viario sulle golene del torrente Sant’Agata, tra la Superstrada Jonica e la zona sud di Reggio Calabria. Tale appalto è stato aggiudicato dalla società PAECO S.r.l. in data 23.11.2015 per un importo complessivo pari ad euro 3.240.006,59, oltre Iva. In seguito alla predetta richiesta estorsiva è stata avviata l’attività d’indagine che ha consentito, soprattutto attraverso l’individuazione fotografica di uno degli operai presenti durante l’azione estorsiva, di pervenire all’identificazione di uno dei responsabili in Gaetano TOMASELLI, soggetto organico alla cosca di ‘ndrangheta dei LIBRI, come già emerso nell’ambito del procedimento c.d. “Teorema – Roccaforte”, che aveva già disvelato il modus operandi di alcune pregresse richieste estorsive poste in essere dallo stesso TOMASELLI in danno di commercianti locali.
Al fine di individuare ulteriori correi all’azione estorsiva, nel mese di agosto 2017, è stato avviato un monitoraggio investigativo nei confronti degli operai presenti in cantiere, riponendo particolare attenzione sul responsabile di cantiere, il quale aveva denunciato la notitia criminis alle Forze dell’Ordine solo tre giorni dopo la richiesta estorsiva, giustificando tale ritardo con la necessità per il direttore tecnico e procuratore speciale della PA.E.CO. S.r.l. di confrontarsi con il proprio legale di fiducia. Tuttavia, le risultanze investigative consentivano di appurare come il reale motivo dell’indugio andasse ricercato nel tentativo da parte dei rappresentanti dell’impresa PAECO S.r.l. di interessare esponenti, o comunque, soggetti vicini alla criminalità organizzata reggina, per far fronte alla richiesta estorsiva mediante “aggiustamenti interni”, tipici degli ambienti mafiosi.
Nello specifico, le emergenze investigative hanno evidenziato come i gestori dell’impresa PAECO S.r.l., attraverso il responsabile di cantiere, abbiano investito della questione Emilio Angelo FRASCATI, individuandolo quale referente di zona della ndrangheta cui affidarsi per intercedere con i vertici della cosca LIBRI per risolvere la questione estorsiva.
Seguendo tale direttrice, le investigazioni si sono concentrate sulla figura di Emilio Angelo FRASCATI, al fine di delineare la sua partecipazione all’articolazione di ndrangheta dei LIBRI, prendendo in esame sia le risultanze tecniche circa il suo intervento, nella veste di intermediario, nella suddetta vicenda estorsiva, sia analizzando il contributo dichiarativo proveniente da molteplici collaboratori di giustizia. Il suddetto Emilio Angelo FRASCATI è figlio di Antonino FRASCATI, condannato in via definitiva per il reato di associazione di tipo mafioso, quale partecipe della cosca LIBRI, consorteria che detiene l’egemonia criminale ove insisteva il cantiere della PA.E.CO. S.r.l.
Nel corso delle indagini finalizzate a delineare le dinamiche sottese alla citata richiesta estorsiva, è stata avviata un’attività di video osservazione sulle opere di cantiere svolte dalla PAECO S.r.l.
Tali attività hanno consentito di svelare plurime violazioni di natura ambientale poste in essere dai vertici della società PAECO nell’interesse ed a vantaggio della medesima, con la collusione dell’Ufficio della Direzione dei Lavori. Nello specifico, si appurava che, nel corso delle operazioni di movimento terra, scavo e demolizione, la società aveva gestito abusivamente un ingente quantitativo di rifiuti speciali pericolosi e non, già presenti sull’area di cantiere, tra cui anche materiale contenente amianto frantumato. Il prodotto ricavato, invece di essere selezionato e/o smaltito secondo quanto previsto dalle norme ambientali, è stato in realtà miscelato con terra e rocce da scavo e poi riutilizzato per riempire avvallamenti e terrapieni.
Gli indagati, pur di ampliare i propri profitti, piuttosto che procedere all’immediata sospensione dei lavori, segnalando quanto accertato agli organi competenti, continuavano, con la complicità dei suddetti responsabili comunali, nell’attività di movimento terra, sbancamento e riempimento su quasi tutta l’area di cantiere, perfettamente consapevoli del grave danno che avrebbero arrecato all’ambiente ed incuranti dei siti di amianto ivi presenti.
Il cantiere in argomento è stato successivamente posto in sequestro dal Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Reggio Calabria che, a seguito di un accesso al sito, ha riscontrato la presenza in loco di rifiuti pericolosi, tra i quali – appunto – l’amianto frantumato. Gli accertamenti compiuti sul cantiere in occasione del sequestro hanno inoltre consentito di evidenziare numerose violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, che sono state contestate all’impresa aggiudicatrice.
Tale gestione illecita di rifiuti ha trovato peraltro riscontro nelle attività di sondaggio compiute dal consulente tecnico incaricato dall’Autorità Giudiziaria, a compiere studi approfonditi sull’area di cantiere circa la presenza dei rifiuti pericolosi e non pericolosi.
Orbene, gli esiti della consulenza hanno evidenziato come l’area interessata dalla realizzazione delle golene del Torrente Sant’Agata costituisse una vera e propria discarica. Tale dato tuttavia era noto sin dalla progettazione dell’opera, posto che la condizione e lo stato in cui versava l’intera area del torrente erano già noti dal novembre 2007, allorquando il sito in questione era stato inserito nel piano delle bonifiche della Regione Calabria.
Ad oggi, la suddetta area non è stata ancora bonificata.