Insegnare la laicità nella scuola. Un allenamento alla libertà
di Flavio Filini – Blog UAAR
Insegnare la laicità nella scuola; il primo pensiero è stato quello di riuscire a scrivere dell’argomento senza citare l’insegnamento della religione cattolica, ma in un sistema che vede la presenza istituzionale in ogni classe di un insegnante di religione cattolica che, come scrive la rivista Civiltà cattolica, dovrebbe essere «innanzitutto un uomo di fede, testimone coerente, per una proposta attuale e una scelta di vita totalizzante», mi è sembrato un compito improbo.
Per prima cosa chiariamo che stiamo parlando di scuola statale (o di scuola paritaria di un ente locale), giacché anche le scuole paritarie confessionali cercano di fregiarsi del titolo di scuola pubblica, essendo state inserite nel “sistema nazionale di istruzione” dall’art. 1 della L. 62/2000.
Parafrasando il celebre detto sulla General Motors, «ciò che è buono per la chiesa cattolica è buono per la scuola», rimane il primo ostacolo all’insegnamento laico in una scuola laica. Per fare un esempio, potrei citare la proposta di insegnamento formulata da persone che, spesso in buona fede, danno per scontato che insegnare il rispetto per l’ambiente partendo dall’enciclica di un papa sia una cosa normale. Come se un capo religioso avesse competenze specifiche di tutela ambientale per il solo fatto di ricoprire quella carica.
Il testo unico sulla scuola (Decreto legislativo n. 297 del 1994), sembrerebbe fornire tutti gli strumenti per un insegnamento laico.
Proviamo a leggere per intero (a proposito di allenamento alla libertà di pensiero, mai fidarsi degli esperti senza controllare le fonti… soprattutto nel mio caso).
L’art. 1 (Formazione della personalità degli alunni e libertà di insegnamento), al comma 1, stabilisce «Nel rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola stabiliti dal presente testo unico, ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente» e al comma 2 «L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni».
A maggior tutela, l’art. 2 (Tutela della libertà di coscienza degli alunni e diritto allo studio) al comma 1, comanda «L’azione di promozione di cui all’articolo 1 è attuata nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni».
Esperienza insegna però che tali meritorie disposizioni possono essere brandite anche contro chi cerchi di aprire la mente degli studenti per abituarli all’esercizio di un pensiero non dogmatico, soprattutto in certe materie che più si prestano al confronto anche acceso sulle diverse idee e posizioni filosofiche o religiose.
A questo punto cerchiamo di decidere cosa intendiamo quando parliamo di laicità, almeno all’interno di questo articolo.
Provando a cercare sul solito Google: “insegnare la laicità”, i primi risultati portano al libro Perché insegnare religione cattolica nello stato laico? del sito educazione.chiesacattolica.it e per secondo la recensione del medesimo libro fatta da Civiltà cattolica e via di questo passo, salvo qualche articolo sulla laicità nella scuola francese. A conferma delle difficoltà cui accennavo sopra. Un po’ meglio va con il motore di ricerca duckduckgo.com, dove prevalgono i risultati riguardanti la scuola francese e, ahimè, l’assassinio del professor Samuel Paty.
La voce che mi è sembrata più utile ed equilibrata, in questo contesto, è quella di Wikipedia ‘laicità’: «La laicità, in senso politico, sociale e morale, è lo stato di autonomia e indipendenza rispetto ad ogni condizionamento ideologico, morale o religioso altrui o proprio».
Ancora: «La laicità rifiuta qualunque forma di imposizione dogmatica e la pretesa di determinare le proprie scelte morali ed etiche al di fuori di una critica o un dibattito. La laicità sostiene l’indipendenza del pensiero da ogni principio morale ed etico, quindi indirizza il dibattito, il confronto e l’apertura, all’autonomia delle scelte personali in ogni settore (politico, sociale, spirituale, religioso, morale)».
Se partiamo da questa definizione di laicità, come rifiuto di imposizione dogmatica, ne segue che insegnare la laicità a scuola coincide con l’insegnamento dell’autonomia di pensiero.
Laicità come libertà di pensiero. A questo punto, più di insegnamento della laicità, parlerei di allenamento alla libertà di pensiero.
Il primo attrezzo che viene alla mente di usare per questo tipo di allenamento è l‘ora di “attività alternativa”.
Fino a oggi, uno dei problemi maggiori per rendere effettivo questo insegnamento era costituito dalla tempistica delle scelte, per cui le richieste degli studenti e delle loro famiglie venivano conosciute solo ad anno iniziato, con le ovvie difficoltà nella scelta dei docenti e di organizzazione delle attività (provare per credere, l’adeguamento dell’orario delle lezioni, soprattutto in una scuola di secondo grado di una certa dimensione, è un lavoro decisamente complicato). Un lavoro più sistematico può essere fatto a partire dalla sentenza Tar Lazio n. 10273/2020 (causa promossa meritoriamente dall’Uaar) che ha consentito di anticipare le scelte delle materie alternative e quindi permetterà di programmare più agevolmente le iniziative nei prossimi anni scolastici. Le scelte possibili sono: attività didattiche e formative – non coincidenti con le materie curricolari; attività di studio e/o di ricerca individuali con assistenza di personale docente; libera attività di studio e/o ricerca individuali senza assistenza di personale docente; non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica. La prima e, in una situazione ideale anche la seconda, sono le scelte che più si prestano ad allenare la libertà di pensiero a scuola.
Dal mio punto di vista, la situazione ideale è però quella di sviluppare l’autonomia di pensiero e la costruzione sociale delle regole, contrapposta a un sistema basato sull’ipse dixit. Non è indifferente, per esempio, insegnare come date dall’alto le teorie economiche rispetto alla verifica e messa in discussione delle stesse, ovviamente in una scala accessibile agli studenti. “Non fidatevi dei professori”, inteso come verifica e messa in discussione di quanto viene presentato, accompagnato dall’uso incessante del “perché?” sono gli strumenti chiave dell’insegnamento, se si può usare questo termine, della laicità.
Un esempio pratico, tratto dall’insegnamento di materie giuridiche, è quello dell’applicazione delle regole di comportamento a scuola. Una visione non dogmatica porta a individuare, assieme agli studenti, ed eventualmente ai genitori, le regole da applicare. Se si riesce a raggiungere una condivisione sulle regole, non serve un corposo regolamento.
In un esperimento di qualche tempo fa con diverse classi del biennio di un istituto tecnico economico, siamo riusciti a distillare due regole “costituzionali”, che si sono rivelate capaci di fornire risposte soddisfacenti a tutti i dubbi sollevati dalla normale vita della scuola.
Per i più curiosi, le due regole sono: 1) tutto quello che facilita l’apprendimento è bene, tutto quello che lo impedisce è male; 2) rispetta gli altri. Quando si tratta di dare risposta alla richiesta di uno studente è possibile per il docente motivare il perché del consenso o del diniego e accettare la discussione su un piano razionale. Uscire spesso per recarsi ai servizi igienici disturba il lavoro della classe, quindi è meglio limitarlo, usare un formato di carta diverso per gli appunti potrebbe facilitare l’apprendimento, quindi va bene. Parlare con i vicini di banco mentre un docente o un compagno cerca di esporre un argomento, potrebbe disturbare ed essere visto come una mancanza di rispetto per gli altri che vogliono seguire la lezione, eccetera.
Per mettere costantemente in discussione le indicazioni dell’autorità, del senso comune o della cultura, servono pazienza, conoscenze e, appunto, allenamento.
La pigrizia è, di conseguenza, l’ostacolo primario, assieme al naturale desiderio di essere parte di un gruppo.
La struttura scolastica, non tanto per le impostazioni di legge, che abbiamo visto lasciano ampia libertà di azione, quanto per inveterate abitudini, tramandate da generazioni di insegnanti, trova più congeniale la trasmissione di nozioni precotte rispetto alla difficile arte di allenare alla libertà di pensiero.
Accettare come normale l’errore e considerarlo una base di partenza inevitabile è difficile in parte perché su questo punto risulta molto forte il condizionamento di altri docenti e delle famiglie. Anche per molti studenti è meno sfidante l’apprendere nozioni, anche complesse, rispetto alla ricerca e all’accettazione che è possibile sbagliare ed essere messi in discussione.
Le difficoltà di valutare e la tirannia del voto, cui contribuiscono non poco le famiglie e il valore legale del titolo di studio, sono ulteriori scogli sulla strada della libertà di pensiero.
Ne abbiamo visto un eclatante esempio in questi mesi di didattica a distanza o, se preferite l’ultima versione, didattica a distanza integrata con le storture e le ansie collegate alla valutazione degli studenti.
Già in condizioni normali, la preoccupazione dei professori e talvolta anche di alcuni maestri, di impedire le copiature, i suggerimenti e quant’altro, porta ad accorgimenti qualche volta comici, ma durante la didattica a distanza si è visto quanto l’attuale modo di fare scuola trascuri la rielaborazione delle nozioni e la capacità di argomentare.
Non è questo lo spazio per discutere approfonditamente di didattica, ma anche per chi di scuola poco si occupa, appare evidente che un dialogo in cui si confrontano posizioni diverse o si espone il proprio pensiero, anche in contraddittorio con altre persone o cercando di chiarire dubbi e perplessità altrui, difficilmente può essere falsato dall’accesso a fonti esterne, che invece al contrario dovrebbe essere normale.
La declinazione dell’allenamento alla laicità è diversa nei diversi ordini di scuola e dipende molto dall’età; la costante, a mio avviso, è sempre la spiegazione delle regole e del loro scopo. Anche con allievi in età molto tenera, le maestre insegnano, è possibile spiegare il perché delle regole e costruire assieme a loro le conoscenze.
Con il crescere dell’età, la divulgazione scientifica, la ricostruzione delle basi delle scienze, non ultime le scienze sociali, allena la messa in discussione dell’autorità basata sul dogma.
Ma questo comporta lavoro, conoscenza, ricerca. Molto più facile e comodo lasciarsi guidare, per questo c’è bisogno di un lungo e paziente allenamento. Paziente ma non necessariamente noioso, chiedete agli amici del Cicap, che riescono a coniugare rigore scientifico e leggerezza.
Cosa aspettate, l’allenamento comincia subito…