Il recidivo è ancora vivo
Quei quattro crediti che ho guadagnato in vita mia li ho investiti tutti in un vivaio di fiori ornamentali per il mio funerale. L’operazione era coperta da segreto e istruzioni per l’uso chiuse dentro una boccia trasparente in forma di lettere singole affinché chiunque dovesse ripassarle ne trovasse sempre di nuove. “Eppur si muore”, dissero ai disillusi i cui propositi amerei disattendere. “Le rose importanti della mia vita non sono rose”, dissero ai puristi della percezione i cui sentimenti percepiti erano l’unica cosa in grado di farci sapere. “Ciò che non ti uccide ti rende più, forse”, dissero ai cocci che erano i nostri ed eravamo soli a raccoglierli provando a ricomporre il puzzle unendo i pezzi con una colla di lacrime e vomito. Dal gemito al monito non abbiamo sprecato il nostro tempo, quella fase arrivò subito dopo quando cercammo di capire che le cose che stavamo cercando di capire erano più semplici di quanto il nostro scervellarci non accettasse.
La Storia era l’albero e noi pensavamo alle foglie. L’albero era marcio dalle radici profonde e noi pensavamo alle foglie. Chi le cura poi vince. E che vince? Altre foglie da curare mentre quelle guarite ci ricascavano. Ne godono i nostri occhi, questo lo ammetto da quando al me ometto piaceva spogliare l’albero di quelle foglie e mi piaceva guardarle ricrescere nella stagione giusta. La prima volta che sentii parlare di pesticidi non ero abbastanza attento. Mi ritenevo pronto, ci nacqui, ma non ero attento. L’increspamento, l’indolenzimento, l’indebolimento. Mi distraevo per molto meno. Mi distraggo più e più volte all’ora ed è un mistero che io sia ancora in grado di farlo con la stessa leggerezza di ieri. Com’eri bella e com’ero bello. A questo ci penso spesso. Non siamo gli stessi ma va bene uguale. Non siamo depressi, la differenza è abissale. Sapessi anche spiegarlo, giuro, perderei qualche altra riga ad argomentare questa cosa ma riposo capace di non farmene una colpa.
La talpa è infima, cieca come l’amore, si nutre di lombrichi e larve e non aspetta altro che la nostra sepoltura per ringraziarci di un ringraziamento che a qual punto non ci riguarda più. La sorte che ci bombarda è solo invidiosa, questo lo sanno tutti, anche i credenti alla storia del sogno in cui i denti sono i parenti e appena li sogni vorresti svegliarti per evitargli una brutta fine ma non puoi. Chi vogliamo prendere in giro con le nostre condizioni? Chi vogliamo prendere in giro con le nostre posizioni? I coglioni delle conversioni frullano per alimentare l’indipendenza energetica negando che basterebbe darmi un bacio. Ho avuto un debole per i Sansoni che fottono i Filistei ma poi optai per la calvizie. Le brutte notizie non arrivano mai da sole solo perché abbassiamo l’attenzione e ci rendiamo vulnerabili, le talpe ne approfittano senza convenevoli. Al contrario dei favorevoli, i contrari sono tacciati di intolleranza. Ho un debole per le minoranze anche quando guardandomi allo specchio capisco siamo due ma io sono più di lui perché lui non ha ancora imparato a decidere. Decidi et impera. Sarà per questo che il mio posto è ancora dentro il guado artesiano dell’anima mia che s’è persa di casa. L’avevo portata a pisciare, quel pomeriggio come l’altro pomeriggio e l’altro pomeriggio ancora. L’avevo portata a pisciare ma mi ha strattonato una e due volte, alla terza ho mollato. Ho mollato e ho pianto. Ho pianto e accusato. Ho accusato e ho condannato. Ho condannato e ho confessato.
Ogni supermercato della zona ha esposto senza successo una sua foto per il mese successivo. Sono recidivo, mostro onore e dedico quei quattro crediti che ho guadagnato in vita mia alle spese necessarie al vivaio di fiori ornamentali per il mio funerale. Un magistrale colpo di coda prima che tutto accada.