L’occidente è diventato post-cristiano. E ora?

L’occidente è diventato post-cristiano. E ora?

di Raffaele Carcano – Blog UAAR

Domenica scorsa il Guardian, autorevole quotidiano inglese, ha pubblicato un editoriale dal titolo The Guardian view on ‘post-Christian’ Britain: a spiritual enigma. In prima battuta ha dunque presentato un incontrovertibile «dato di fatto»: la Gran Bretagna va ormai considerata «post-cristiana». A seguire, un enigma da risolvere (anzi, due): cos’è diventata, e cosa diventerà in futuro?

Per la prima volta in un censimento, il numero dei britannici che si autodefiniscono cristiani scivolerà sotto il 50%

L’articolo, pubblicato non per caso all’inizio della Settimana santa, origina infatti dalla constatazione che, per la prima volta in un censimento, il numero dei britannici che si autodefiniscono cristiani scivolerà sotto il 50% (in realtà la percentuale effettiva è persino più bassa). Per una curiosa coincidenza, il giorno dopo la Gallup, la storica società Usa di sondaggi, ha diffuso i risultati di un’inchiesta secondo cui il numero di statunitensi che si dichiara appartenente a una chiesa è sceso – anche in questo caso per la prima volta – sotto il 50%: al 47%, per la precisione. Ventidue anni fa era il 70%. Il tracollo trova fondamentalmente una sola causa: la corrispondente ascesa di chi non si dichiara di alcuna religione.

Ovviamente, “non appartenente” (come nel 53% negli Usa) non significa “non cristiano” (come nel 51% britannico). Ma i due fenomeni sono correlati. Anzi, secondo il sociologo (e ministro battista) Ryan Burge, sarebbero addirittura tappe di una tendenza ricorrente: «La prima cosa che se ne va è la partecipazione in chiesa. Poi l’appartenenza. E infine la credenza. In quest’ordine».

È una tendenza che, con numeri per ora diversi, è riscontrabile anche in Italia, come ha mostrato il sociologo cattolico Franco Garelli nel suo ultimo libro, Gente di poca fede. In poco più di due decenni i non credenti «sono aumentati del 30%, e oggi rappresentano un quarto della popolazione». Atei e agnostici dichiarati sfiorano il 20%, i più increduli sono i più giovani, e anche nel Belpaese c’è ora una “nuova” minoranza: soltanto il 39,6% degli italiani non nutre alcun dubbio sull’esistenza di dio.

Lo scenario attuale è dunque questo, e si ripropone più o meno identico in tutto l’occidente – e anche oltre, a ben vedere: Giappone e Corea del Sud presentano sorprendenti analogie, e un meccanismo simile si è da poco avviato anche in America latina. Evidenze convergenti, che non implicano però che il futuro sarà sicuramente ateo.

È doveroso ricordarlo, e non solo perché non siamo deterministi. I credenti diminuiscono, è vero, ma diventano sempre più spesso fanatici. La fede cristiana fa sempre meno presa, ma il cristianesimo culturale continua a rappresentare un orizzonte di riferimento anche per chi ha cominciato a dichiararsi non appartenente o non credente. E fa leva sia sulla tradizione, sia sul nazionalismo: due forme di attaccamento diverse, anche se sovente sovrapposte, che non possiamo sapere quanto e come incideranno in futuro.

Non possiamo nemmeno tralasciare il fatto che la massa dei non appartenenti non soltanto non coincide con quella dei non credenti, ma è composta anche dal sotto-insieme (a sua volta in aumento) di coloro che gli accademici chiamano «spirituali ma non religiosi»: l’irrazionalità individuale, talvolta trendy, che spesso viene raggruppata sotto l’etichetta (inadeguata e parziale) di new age. Infine, occorre tenere in considerazione anche gli indecisi, frutto inevitabile dell’incremento esponenziale delle scelte possibili.

E dunque: mentre la Gallup conferma che, ogni anno, migliaia di chiese statunitensi chiudono i battenti, cosa prenderà il loro posto? Chi avrà la meglio, tra incredulità, spiritualità e integralismo (o qualunque altro fenomeno al momento imprevedibile)? Il fanatismo è così morbosamente legato alla tradizione da non farsi problemi a riutilizzare i metodi che hanno portato la propria fede a prevalere: rapporti stretti con la politica, silenziamento del dissenso, uso della forza. E sono metodi che funzionano, eccome se funzionano. Il fanatismo ha tuttavia l’handicap non da poco che, costitutivamente, non può andare a braccetto con altri fanatismi.

Certo, il settarismo è incomparabilmente più efficace di quanto possano esserlo gli individui non credenti e «spirituali non religiosi» – che proprio non riescono a creare una massa critica coerente con le loro dimensioni, e che hanno una biodiversità interna ben maggiore del mondo della fede. Se l’avvenire sarà caratterizzato dal pensiero unico, è molto probabile che sarà quello di (un) integralismo. Se invece gli esseri umani saranno (tutti) liberi di scegliere, la partita sarà molto più aperta.

Non possiamo sapere se ci sarà un cambiamento, e in quale direzione. Sappiamo semmai quando un cambiamento ha luogo

Il Guardian scrive sicuro che, poiché «la fame spirituale fa parte della condizione umana», «nei prossimi anni troverà altri sbocchi e mezzi di espressione». La “laicità minimalista” di cui sembrano farsi portatrici le nuove generazioni francesi sembra confortare questa previsione. Che, come tutte le previsioni, potrebbe però rivelarsi azzardata. Non possiamo sapere se ci sarà un cambiamento, e in quale direzione. Sappiamo semmai quando un cambiamento ha luogo.

Cass Sunstein, che ne ha trattato nel suo ultimo libro tradotto in italiano, ha scritto che «se le norme inducono le persone a tacere, lo status quo può durare a lungo, anche se alcune, o molte, persone lo odiano». Ma, come insegna la favola, persino un bambino che grida «il re è nudo» può far emergere una realtà repressa. Il punto di svolta, secondo Sunstein, si ha quando l’affermazione di un’opinione comincia a diventare «socialmente non costosa, magari benefica e persino obbligatoria». Ed è un punto che si raggiunge quando si diffonde «la crescente sensazione che una norma esistente è vulnerabile». E torna allora in mente Garelli, che sostiene che il cattolicesimo italiano sembra oggi «stanco»: appare infatti una religione «più delle intenzioni che del vissuto», caratterizzata da una credenza in un dio «più sperato che creduto».

La chiesa è oggi un gigante dai piedi d’argilla. La sua presa sulla società può venire meno da un momento all’altro. Il futuro della nostra società può veramente essere laico e razionale. Ma sta anche a noi darci da fare per creare le condizioni necessarie affinché diventi realtà.

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