Persone oltre la dose

Persone oltre la dose

La morte per asfissia non è più come la ricordavo. Certo, nessuno dei presenti può ritenersi al sicuro e nessuno degli assenti può cacciarsela dicendo di essere assente, ma la morte per asfissia non è più come la ricordavo. Quella mietitrebbia ara campi privati della cosa pubblica. Non c’è stato modo di avvisare tutti tutti. Il messaggio “Areare il locale prima di soggiornarvi”, alleggerita solo i responsabili implicati in impalcature di strutture che avrebbero retto ogni urto. L’arte del saperti arrangiato era un punto per loro. La corsa a ostacoli per i miracolati dal fato non ha è affatto finita. Fare finta di niente era la spinta capace di muovere, passo dopo passo, ogni corpo che a corto di idee si affidava all’istinto di sopravvivenza. La vita per come avevo immaginato di viverla apriva una breccia, e uno alla volta, si prendeva ogni secondo.

Il fallimento del primo tentativo non conta proprio: si riparte sempre da zero se non sai perdere. Non che mancasse l’intesa, ma i piani di discussione erano saltati e la corda era sempre più corta. Come sempre più corto era il fiato per lo slancio. Non mi sbilancio mai ma rilancio volentieri. Il sorriso dei funamboli dell’immenso si illuminava ad ogni nuova defezione. L’assoluzione di ogni colpa era la compensazione a perdere capace di recidere quanto non più necessario alla lettura dei dati sulla partecipazione nel suo insieme. Una concatenazione di eventi ridicoli ci conduce per mano verso l’infame bestiame che pascola, verso il pentolame che ribolle. Dal Colle tutto tace. Al Colle tutto piace. La condanna in contumacia è inevitabile, nello Stato di Cose. Nomi, animali, città e persone che iniziano per F non contano più. Fanculo. I lecchini hanno, hanno avuto e avranno vita più breve della loro lingua felpata. Il giorno dell’apertura della capsula della memoria ero lì, confuso nella moltitudine di curiosi. La psicosi che puntava a stanarci stonava da sempre con la nostra mania di protagonismo. Ogni solipsismo sarebbe stato cassato. Ogni abusivismo sarebbe potuto essere condonato. Capire che l’unione fa la forza è uno sforzo personale troppo grande per chi nasce, cresce e muore nell’illusione della competizione a tutti i costi. Pensiamo di valere tutti gli applausi, gli oceani di mani su cui naviga l’ego in cui te absolvo a peccatis tuis.

Pensiamo di volare come le parole che non sappiamo pronunciare mentre strappiamo pagine di vocabolari per regalarle al vento freddo dei cieli di febbraio. Abbaio e non mi scordo chi sono: sono l’ago nel pagliaio che cerca le tue braccia, cara! La tua bara è pronta ma la morte per asfissia non è più come la ricordavo. Ti ci chiuderanno solo a giochi fatti. Le cose si aggiustano sempre, anche quando è troppo tardi. E chi se ne frega se non sarà servito a niente aggiustare? Lo abbiamo fatto. E col nostro sudore ingrassiamo i meccanismi di taglio di quell’altra mietitrebbia che ara campi pubblici della cosa privata. L’odiata idea che l’eterno duri solo per un’infinito secondo mi schiaffeggia e mi sveglio. Che fine avevo fatto? Guardare di soppiatto le mosse giuste per la gestione dell’enorme volante mi ha distolto dal raccolto, mi ha distolto dalla semina. Mi raccolgo in preghiera e mi invoco. Mi affogo. Mi arrogo il diritto di pensare che se la morte per asfissia non è più come mi ricordavo, allora di asfissia non si può morire.

Servono parole nuove. Servono parole. Servono. Servi e padroni puzzano entrambi di fame. La mia discriminazione non ha bandiera. Se dovessi trovarne una, la brucerò senza pensarci due volte. Siamo il cumulo di nervosismo acquisito, guarda i bambini. Siamo gli straordinari non pagati. Siamo l’ammasso di bestemmie perfettamente intonate con l’angelico coro di Dio. Siamo figli delle sberle, pronipoti di sua maestà Stocazzo. Siamo una carta in un mazzo di carte di un gioco che nessuno sa più giocare e ci tiene proprio a ribadirlo solennemente. Siamo la mente contorta che addolcisce quei veleni che ci tengono all’erta.

Siamo il meteorite e siamo il meteorismo. Siamo il parossismo di una notte lunga due ore. Siamo il desiderio di essere qualcos’altro. Siamo persone oltre la dose. Le cose accadute in disgrazia si rialzano tra l’orda di progetti zombie e ci assicurano che andrà tutto bene. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene. E se così non dovesse essere, fate l’amore con il rumore di una mietitrebbia in avvicinamento. La vedi? Si accendono le luci dei riflettori, sono proprio su di te: è arrivato il tuo momento. Here we are now, entertain us. Ah: “Merda! Merda! Merda!”.

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