Ho fatto un incubo
Stanotte ho fatto un incubo. Ho sognato Salvini che tornava a mietere consensi e Giorgia Meloni premier. Ma non era questo il vero problema.
Ho sognato un’opposizione inesistente e un’egemonia culturale talmente populista che quando fu proposto di garantire un’automobile a ciascun cittadino maggiorenne nessuno insorse, anzi.
E mentre le carreggiate iniziavano a riempirsi, i capi dei principali gruppi ambientalisti litigavano su chi dovesse intestarsi la battaglia. Mentre i campi da calcio venivano convertiti in parcheggi, i movimenti anticapitalisti erano troppo concentrati a scrivere sui muri.
Mentre le polveri sottili penetravano nei bronchi dei cittadini inconsapevoli, il PD era impegnato in una sanguinosa lotta intestina in vista delle primarie imminenti. “L’auto è un diritto inalienabile. La stagione dei monopattini è finita!” tuonava nel frattempo la Meloni.
La lancetta dei sondaggi cresceva inesorabile e a sinistra ci si scannava per le briciole rimaste. La nuova “Destra Cristiana” ormai deteneva tutto e tutti. Il potere è gravitazionale e ben presto nel buco nero c’erano finiti in tanti. La lista di nomi faceva rabbrividire per quanto fosse lunga e trasversale: Renzi, Zaia, Bonino, Larussa, Marco Rizzo, Calenda, Franceschini, Berlusconi.
Liliana Segre si era congedata alle prime avvisaglie di regime con una bellissima lettera che in pochi avevano letto e che nessuno aveva compreso, nonostante tutti l’avessero pubblicata su Facebook. Porro era ministro dell’informazione, Dell’Utri all’antimafia, Minniti all’accoglienza, Sgarbi alle pari opportunità, Calderoli al sud, Paragone all’istruzione.
Renzi era riuscito a piazzare Bonaccini come vice premier in cambio di una riforma del lavoro che tutelava solo le Spa sopra il mezzo milione di fatturato. Non faceva più politica in Parlamento, ma sedeva nei cda di tutte le controllate dello “Stato” per evitare che fossero controllate dallo Stato. Nei banchi dell’opposizione, l’unica voce rimasta era quella di Brunetta e Fratoianni, inconsapevoli comparse di uno spettacolo diretto altrove.
Ormai l’affluenza alle urne era scesa sotto il 30% e i voti erano talmente controllati dai partiti che una settimana prima delle elezioni usciva su La Verità un vero e proprio spoiler che puntualmente si realizzava con una precisione disarmante.
La mancanza di “forchette” e spiragli di cambiamento scoraggiava quei pochi che speravano in un orizzonte diverso. Mentana inventava una maratona farlocca per garantire il fine vita a quei pochi nostalgici della vecchia politica.
Gli unici che potevano insorgere erano gli adolescenti, per questo si era deciso di abbassare l’età di guida a 16 anni, in modo che anche loro potessero fruire del bonus “auto”. Si verificò una sola rivolta che però venne soppressa sul nascere.
Successe in una periferia di Foggia, dove un gruppo di bambini aveva imposto ai propri genitori il divieto di parcheggio nel cortile condominiale. Per evitare che si ripetesse, l’insegnamento della scrittura venne vietato prima del compimento degli otto anni, e ad ogni famiglia italiana fu regalato lo “smartphone della patria”.
Era fabbricato nei lager libici, ma nessuno se ne accorgeva perché la cover era verde, bianca e rossa. Di Beppe Grillo si erano perse le tracce, ma sul suo blog capeggiava ancora l’immagine di Di Maio, sorridente, che tagliava le poltrone davanti al Parlamento.
#6000Sardine