Nella civile Bologna non ci si sposa più in chiesa
Il mese scorso Bologna si è aggiudicata il titolo di migliore città d’Italia per qualità della vita. Purtroppo nessuno dei novanta indicatori presi in considerazione dall’indagine del Sole 24 Ore misura l’offerta di servizi laici per la cittadinanza, come la disponibilità di luoghi consoni per i funerali civili (come alternativa a un incoerente funerale in chiesa) e di posti nelle scuole dell’infanzia statali o comunali (per impedire il ricorso a scuole private di orientamento cattolico).
In entrambi questi ambiti Bologna si distingue, pur essendoci ancora tanto da fare. Ma c’è forse un servizio laico nel quale Bologna eccelle: la Sala Rossa per matrimoni e unioni civili. Che sia anche per questa ragione che i matrimoni nelle chiese bolognesi sono non solo diminuiti ma decisamente crollati negli anni?
Il processo di secolarizzazione nella (non più) cattolica Italia ha portato, nel 2018, al sorpasso dei matrimoni con rito civile su quelli con rito religioso. Nel Nord era accaduto nel 2011. A Bologna dieci anni prima, nel 2001. Il portale I numeri di Bologna fornisce le serie storiche dei matrimoni per rito a partire dal 1986.
Permette anche di generare eloquenti grafici, che mostrano come dai 1000 matrimoni in chiesa del 1986 si è passati a meno di 200 del 2019, mentre nello stesso arco di tempo in comune si sono sempre spostate circa 700 coppie l’anno (tabella 1).
Tab 1. Bologna, matrimoni per rito (tutti)
Si potrebbe pensare che molto dipenda dall’aumento dei divorzi e quindi dalle seconde nozze che non sarebbero ammesse in chiesa. Il portale del comune permette di generare anche il grafico considerando solamente i matrimoni tra celibi e nubili (tabella 2): rispetto al precedente mostra da un lato che ci sono seconde nozze pure in chiesa (circa un 5%) e dall’altro che il numero di chi sceglie di sposarsi per la prima volta in comune è sostanzialmente costante nei 23 anni presi in esame, attestandosi sulle 500 coppie l’anno.
Il tipo di famiglia in crisi sembra essere quindi solo quella di tipo religioso, anche perché dal 2016 a Bologna si sono potute celebrare una media di 65 unioni civili l’anno. E chissà cosa accadrebbe se considerassimo le convivenze.
Corre l’obbligo di precisare che esistono anche matrimoni religiosi invisibili alle statistiche: quelli in cui uno dei coniugi arriva all’altare da vedovo e, preferendo continuare a incassare dall’INPS la pensione di reversibilità, chiede di non trascrivere le nuove nozze dei registri anagrafici. Potremmo chiamarli matrimoni in chiesa con effetti “incivili”.
Tab 2. Bologna, matrimoni per rito (tra celibi e nubili)
Ma torniamo alla qualità della vita e in particolare all’offerta di servizi laici e civili per i cittadini. In tante città il matrimonio in comune si svolge in anonimi uffici anagrafe o in ambienti comunque incompatibili con i desideri degli sposi. Le aspettative e il condizionamento sociale li portano quindi a rivolgersi alle chiese del territorio, che in cambio di un’offerta esentasse offrono scenografia e tregua con parenti invadenti.
Le cose stanno cambiando, e diverse amministrazioni comunali hanno rotto il tabù di non fare concorrenza al mercato religioso delle nozze e hanno iniziato a rendere disponibili, spesso a pagamento, monumenti e luoghi davvero da sogno per celebrare il matrimonio civile. Bologna è all’avanguardia su questo fronte: i bolognesi si sposano nella prestigiosa Sala Rossa, salendo lo scalone bramantesco di Palazzo d’Accursio e arrivando ad affacciarsi su Piazza Maggiore.
La cerimonia è gratuita, gestita con cura e sono concessi tempi sufficienti per le foto, anche se attualmente sono in vigore restrizioni dettate dall’emergenza pandemica. Non solo: il servizio matrimoni e unioni civili online dà la possibilità di seguire l’evento anche a parenti e amici che abitano in altri continenti, o non in grado di partecipare per condizioni di salute o restrizioni alla mobilità.
In Italia c’è sicuramente tanto da fare per permettere di vivere senza condizionamenti religiosi. Consentire di pronunciare il fatidico sì in un luogo istituzionale, solenne e accessibile è un dovere per qualsiasi amministrazione che si voglia dire laica. A ben vedere non è questione di gare o sorpassi tra matrimoni (e unioni) civili e quelli religiosi. È questione di libertà di scelta e di attenzione alle esigenze dei cittadini.
Roberto Grendene – UAAR