Aspetta e sclera
La polvere delle macerie dell’estensione del dominio è in lotta con il cangiante dei tempi che cambiano affinché tutto resti cangiante. Le ante non servono più perché delle tante cose riposte su quei ripiani è rimasto solo un alone giallognolo, appiccicoso. Lucignolo è morto mangiato dai pidocchi e Pinocchio è un tizzone nel braciere in cui Satana mi sussurra scoppiettanti novità: “l’avidità ha pasciuto figli di nessuno”. Qualcuno si è preso la briga di ragionare per assurdo e qualche altro, a cavallo di una biga, vincerà la fiaccola infuocata di una nuova Olimpiade truccata. Viva la competizione e viva la radiazione dall’albo della categoria arbitrale che mi tocca per avere esercitato il mio libero arbitrio. Non mi ci abituerò mai alle cazzate. Mai.
Sai come dicono: “Chi pria non pensa, poscia si dispera”. E non era questo il caso di tirarla per le lunghe, perché il piatto langue e la fottuta fame scalpita. La decapitazione è una prassi ormai accettata dai più, quelli che hanno meno da perdere. Io a sette anni ho vinto una pistola ad acqua scartando una caramella gommosa e me ne vanto. Canto e conto. Conto e canto. In quanto conto, nel corrente potrei dileguarmi tra gli scoli della rete fognaria di una società capace di reagire all’impassibilità rimanendo impassibile. Ce la faremmo. Certo che potremmo farcela, ma non ci interessa così tanto. Il Paradiso è esentasse e dono ogni moneta in mio possesso, mi chiedono la testa e rispondo con la croce. La dolce morte del duce mi riporta ai tempi dei nonni e dei sonni a minchia china. Salto su una mina antiuomo e me ne fotto perché fortunatamente sono donna, sono la colonna portante della famiglia precostituita, sono l’angelo del focolaio e Dio solo sa quanto cazzo vi infetterò tutti. “Futti pe’ unu, unu s’a futti”. Chi se ne fotte! A me piace solo sedermi a guardare il sole morire nelle acque di un mare che ha solo se stesso come fonte di vita. La parola del giorno è RIGENERAZIONE. Una nazione intera non sa più di che morte morire, e se poltrire è l’opzione preferenziale, sulla tangenziale l’amore verso il prossimo è l’investimento sull’avvenire più corretto che gli analisti possano suggerire.
In quest’epoca di cazzi ci mancava sua maestà il craparo. Mi armo di pazienza, conscio dei limiti del mio lignaggio mi appresto a vivere quel che resta del porno. Torno subito. I limiti del mio lignaggio sono i limiti del mio tondo. Il quadro mi è chiaro e non affondo solo perché ho un patto con Poseidone. Nessuna questione di rispetto, solo reciproca stima. Il castigamatti si infogna in discussioni senza via d’uscita. Il mio lascito testamentario non ha più motivo di essere fin quando resterò in vita: la partita finisce quando lo decido io. Hanno rapito gli innocenti, hanno salvato gli indecenti, hanno impressionato i deficienti raccontandogli le storie più stupide possibili perché potessero capirle. Lo chiamano “aiuto”. Non le hanno capite ma il rapimento a breve termine ha già fatto danni voraci e incalcolabili. Gli alieni esistono. L’io narrante si sbraccia, terminale, in attesa di un qualcuno che lo guardi. Fosse tardi la smetterebbe. Sminuire il mero sentire. Sminuire e almeno sentire. Sminuire ma anche smentire. La regola è solo una: sminuire. Siamo quello che taciamo. Alla luce di quello che facciamo, il buio avrà vita eterna. E se l’alternanza se ne fotte di me e di te, il terzo godrà della goduria che la penuria di umanità incombente sfoggia come collana di perle al gran ballo dell’anno nuovo. L’uovo di Colombo rassoda ogni convinzione pagata con il sangue dai nostri antenati. L’ora esatta è su un parallelo che non ci appartiene. Chi detiene il potere detona falsità convincenti. E se perdo le staffe col gaffiere è solo per la troppa fiducia riposta. Sposto l’oggetto del desiderio su uno scaffale più alto, ci arrivo ancora. Sposto l’effetto del mio desiderare dentro una fossa capace di contenermi. Hai visto mai che l’accezione di vita possa essere vittima dell’ottimismo di cui si macchiano le migliori menti della mia generazione. Controllo le pulsazioni, esisto. La temperatura è nella norma. Barcollo ma non insisto.
Ti racconto una versione di me riveduta e scorretta che poggia le proprie basi sulla pietas romana in cui ogni puttana dei concetti si rimangia ogni parola pronunciata senza la vergogna di aver dimenticato che io conosco bene la formula della memoria. Ho ragione solo quando mi ricordo che la storia ci darà torto. A corto di mezzi lascio passare altro vento sibilante oltre le fessure degli infissi che pagai per sentirmi al sicuro. Non è certamente ciò che mi aspettavo. E tu, cosa ti aspettavi?