Il Natale quando arriva irride chi irradia
Passeggio per le città e niente è come sembra. Niente è come sembra, spento, e tutto ha una vita, tutto ha anche la mia vita, tutto è la mia luce, sono le luci della vita che il tempo lascia accese e ben visibili a chi ha vissuto e non si è distratto.
Ieri, oggi, domande delle quali hai già una risposta. Si prostrano ai miei piedi le lungaggini delle spiegazioni che non ho richiesto.
E se questo è un luogo, in vece del me che fu e che sarà, mi faccio presente del mio passaggio. Il presagio non insiste ed assaggio solo un boccone alla volta, il primo. È saporitissimo ma non ho fame adesso. Adesso è Natale, e a Natale mi passa la fame. Vorrei un fucile di precisione per spegnere le luci orrende che nascondono di confusione la luce dei fantasmi in essere. Vorrei avere un giorno in più per eccedere dai giorni che mi saranno concessi a venire. Credere, rabbonire, dibattere. La discussione verte verso il soliloquio e l’iniquità dei nostri propri giudizi andrebbe uccisa nella culla. Nulla a che vedere con la ressa dei conti in sospeso che finanze boccheggianti provano a calmierare con le belle parole. “Pecunia non olet”, l’ho letto da qualche parte, su un muro di una traversina cieca dietro la banca centrale di questa città disgraziata. L’ideale intermittente di un sole dicembrino riscalda i tizzoni che l’inferno di luglio ha lasciato ben visibili in memoria di me. Che fosse una trappola lo sapevamo tutti. Che fossi una trottola lo sapevamo bene. Che fosse una frottola ci ho sperato sin da subito. Mi giro, ho il sole di fronte, sono in spiaggia che è ancora bagnata del temporale dell’altra mattina. Si avvicinano due piccioni, sbecchegiano briciole dal sacchetto del mio panino dopo aver titubato sui rischi dell’avvicinarsi. Hanno ragione loro ma hanno rischiato bene e ora se la godono: hanno vinto anche il resto del mio primo boccone.
Il tizio che dal molo guarda la punta delle canne da pesca fa fumo che sa di marijuana. L’aria di fine anno è gentile anche con i nasi più compromessi. Se non dessi importanza a questi dettagli a quali dettagli dovrei dare importanza? La buona creanza e la buona parvenza si contendono una poltrona di cemento quasi interamente insabbiata dalla furia del mare. I latitanti del lockdown se ne fottono di me e delle poltrone di cemento insabbiate. Non mi arrabbio mai per queste cose, “i fatti r’a pignata i sapi sulu a cucchiara”. Infreddolito mi sgranchisco le gambe, belle e lunghe e forti e gelide. Apolide in una terra che sfrutto, provo a restituirle qualcosa e sputo sangue per terra, anche oggi, contro la buoncostume, contro le regole della pandemia, contro il me stesso che sa bene che sia una cazzata quella di sputare sangue. Distinguo la lingua in cui esprimersi a gesti è giusto e non mi condanno. Dietro di me, in otto fanno le squadre: un pallone e dii limiti immaginari fanno tutto il resto. Tifo per tutti, è chiaro. Mi informano che è illegale. Tifo per tutti, tranne che per chi vuole interrompere la partita. Dietro di me, alito d’erba raccoglie in fretta la lenza tesa e qualcosa di vivo scodinzola in aria per provare a divincolarsi. Tifo anche per lui, anche se so che non ce la farà. Chi siamo noi per non tifare per qualcuno che ha in ballo ancora qualcosa di importante e ci prova anche senza speranza?
Eccomi, scodinzolo, bestemmio, mi rendo conto che il pesce sono io, mi rendo conto che il pesce è pure alito d’erba, e mi rendo conto che qualcuno da qualche parte sta tifando per me perché è giusto che sia così, Mi rimetto i guanti, appaio gigante nel mio essere minuscolo al cospetto del cosmo mentre la palla finisce in acqua, assieme ai pesci, nel gelo delle correnti dello Stretto. Fuori dall’acqua la questione è pure peggio. Le luci di natale continueranno a distrarmi mentre rientrando a casa mi fermerò, solo, a prendere del vino che magari mi aiuterà a buttare giù qualche riga. Nel frattempo mi convinco che l’unica soluzione per affrontare il Natale prossimo sia quella di provare a buttar giù qualche luce e dar tono ai fantasmi del presente che in passato mi dissero del futuro. Ti tocca fare il tifo per me. Certo che ti voglio bene anch’io.