Riace, lettera ad un sindaco mai eletto (Ascoltando De Gregori)
Di Giuseppe Di Salvo
Caro Antonio,
in questi giorni duri e tristi per te, voglio segnalarti la mia vicinanza umana. Perché m’immedesimo e ti comprendo. Perché la guerra è bella anche se fa male. Comprendo le tue omissioni della prima ora quando hai dovuto mentire per aver perso trasparenza e legalità, naufragate nella bancarotta fraudolenta di uno dei tuoi alfieri.
Comprendo il tuo intestardirti a difendere la precarietà di un lavoro che non vuoi tenerti. Comprendo i tuoi silenzi mentre trascinavano l’on.le Nicolò con i ferri ai polsi, la tua stucchevole superficialità quando si assegnavano incarichi a tuo cugino, le tue assenze conflittuali in Giunta, l’obbligo di demolire per compiacere sconfitti con te sempiterni.
Comprendo i facili entusiasmi da Sindaco capocantiere: qualche lampadina sostituita, due mattonelle e rami e vegetazione potata. Che merito.
Comprendo la tua vigliaccheria mentre un omosessuale che chiama froci gli altri sparlava di eventi a cui ti attacchi per creare riconoscenza suggestionata e collidente in ante clientelismo.
Comprendo l’opportunismo, i tour pasquali e neonatali, le pagine istituzionali e un modo comunicativo che si staglia sottolineando l’ignoranza che attribuisci ai tuoi stessi elettori.
Comprendo adesso quella tua affermazione per cui nelle liste civiche possono figurare candidati a Sindaco laddove i Sindaci – nei fatti – sono poi altri.
Comprendo il tuo stritolarti, il terribile quarto d’ora di celebrità che hai somministrato a tutti noi. Comprendo quello che qui non posso dirti e quello che credi non vedano tutti. Cercavi giustizia, trovasti la legge.
Però, Antonio, hai sbagliato e fallito tutto fin qui. Sei stato sleale allorquando per togliere memoria del tuo nemico ti sei nascosto dietro la devozione dei tuoi compaesani.
Chiunque ha compreso che quei cartelli iconoclasti servivano solo ad affermare dominio e non partecipazione religiosa.
E non ti sei fermato neppure davanti a chi ha dato la vita (e davvero, non come un certo Capitano) per valori a cui oggi possiamo in libertà credere più di quanto fosse possibile prima che Peppino Impastato squarciasse la paura di contrapporsi al potere mafioso.
Non hai saputo mettere il cuore dentro alle scarpe.
Ci hai considerati sudditi da infinocchiare con un nazionalismo pret-a-porter issato suoi tuoi ipocrita “evviva Riace”. Abbiamo letto di tua madre che si preoccupava della maglia della salute che noi altri avremmo dovuto ricordarti di indossare. Hai creduto che presenziare a qualche processione impedisse di vedere le tue mancanze altrove. Hai copiato ordinanze e persino gli auguri agli studenti per non saper scrivere un pensiero tuo e autentico.
Hai commissionato, per uscire dal tavolo, una fascia deluxe – da spalmarti sul petto e sugli occhiali da sole – senza preoccuparti che ci umiliavi tutti promettendo le elemosine di un leghista. Sei rimasto zitto e seduto mentre una canaglia analfabeta linciava un’artista coraggiosa preferendo pranzare con tal Mimmuzzo, portavoce (un)official – come dicono dalle parti tue.
Fanno finta di amarti e ti odiano senza un perché.
E sai che c’è?
Un Sindaco è tale se sa esserlo – per tutti- dopo la sua proclamazione.
Un Sindaco conserva e difende memoria; anche quella negativa che come le brutte esperienze e gli errori insegna.
Un Sindaco ha il coraggio di affrancarsi da logiche personalistiche.
Un Sindaco non si fa abusivo.
Ora, i tuoi quattro assi, bada bene, di un colore solo, li puoi nascondere o giocare come vuoi.