Le porte della perfezione
La summa programmatica di questi giorni in cui ci si espone ai più, mi pesa sempre meno. Per amor proprio mi dividerei in più parti e ad ognuna di loro mi piacerebbe assegnare un ruolo diverso da ciò che Yin e Yang limitano alla bicromia. Non è colpa nostra. Non è colpa di nessuno. Le cose accadono per caso. Il caso è chiuso. Di solito non ne faccio una questione di principio ma l’inizio delle cose si espande a dismisura e sta a noi scegliere di tirare le fila ai burattini che siamo. Le danze si innescano con il crescendo. Il preludio si è fatto scoprire e presta il fianco alla sua vera natura. Quei pochi secondi in cui non ci è bastato avere pochi secondi ci fanno pentire di aver pensato che non ci sarebbero bastati.
Le porte della perfezione sono state murate e noi siamo rimasti chiusi fuori. Si sentono urla provenire dall’altro lato. Si sentono urla alle nostre spalle. Mi ricordo il tempo in cui mi presi gioco del silenzio e faccio ammenda. Le raccomandazioni non sono mai abbastanza se il progetto è a lungo termine. Le precauzioni non sono mai abbastanza se nella postfazione toccherà spiegare per quale cazzo di motivo è andato tutto a puttane. Ha preso un taxi e gli ha chiesto di fare un giro del quartiere lungo un centinaio di euro. La situazione volge al domani autunnale con la consapevolezza che i miasmi della spazzatura per strada si trasformeranno grazie alla danza della pioggia, diverranno fiumi di residui inanimati di diete ipercaloriche seguite con l’approssimazione di chi è convinto ma è stato fottuto dalla convinzione. Raziono le porzioni. Raziono la nazione. Desisto dall’impeto di autodenunciarmi per non ingolfare il reparto psichiatria. Della mia e della tua speranza sono pieni i diari di quelli che ancora sanno scrivere a penna. Occhio! Le cose sono ben visibili ma è l’interesse a calarsi le braghe di fronte all’incombenza di provvedimenti che traviati da chi ha inculcato il concetto della Sindrome di Stoccolma. La calma è la virtù dei morti. Del plasma sono piene le fosse. Fosse per noi potrebbero anche accanirsi peggio. La bontà del conteggio fissata sull’abaco rosso e nero e blu, si rallegra di preposizioni semplici. L’articolo uno della Costituzione ha la forza di un sassolino piatto che lancio in mare e salta uno, e due, e tre, e cinque e nove, e tredici, e affonda.
Le porte della perfezione sono state murate e noi siamo rimasti chiusi fuori. L’ideale cattolico che si è imposto quei buoni propositi mi tatua il nome di dio sul cuore. Muoiono i compagni ai quali una volta passai le soluzioni di un compito in classe. Muoiono le classi alle quali una volta diedi una spazzata assieme alla bidella tettona che mi chiese solo una cortesia. Vivono le scope e le streghe festeggiano. Vivono le bacchette e i direttori d’orchestra festeggiano. Declasso l’applauso a fine opera ad atterraggio di fortuna mentre atterrito indico la luna. Stanotte siamo in troppi a tener conto delle implicazioni di una cattiva alimentazione. Vomitiamo l’eccesso e difettiamo di autocritica. Demoliamo la storia ed invadiamo Polonie impoverite. L’improvvido sorride senza indugio. Io bevo ciò che passa la casa e tengo il tempo con la testa. L’interpretazione di un paio di sì mi fa caracollare dall’emisfero sinistro a quello destro e poi ritorna e poi ritorna. L’urna non è sovrana se non è piena delle mie ceneri. Sforno biscotti con gocce di cioccolato e merda, tanto non saperesti distinguerle. Il mercato si è accorto di come stanno andando le cose e se ne approfitta. I margini di guadagno non possono non tener conto delle curve analitiche dei sogni e dei bisogni che nei sogni si annullano. Chi vuol esser lieto sia. Domani la polizia si presenterà sotto casa, verranno a prendere quella stronza catto-impicciona dell’altro appartamento sul pianerottolo.
La mia coscienza tossisce. La mia coscienza ha la febbre. La mia coscienza è stata arrestata per eccesso di zelo. Lo spunto cognitivo dal quale parto ogni qualvolta auguro il buongiorno ai miei incontri dovrebbe smetterla. Dovremmo guardarci e sorriderci in silenzio. Potremmo salvarci sull’onda di un assenso condiviso. I mille problemi causati dalle parole si dissolverebbero tra i raggi del sole. Come posso pensare di costruire il mio futuro senza conoscere il mio presente? Lascio perdere chi passa e mi guarda male. Lascio perdere i vincitori di tappa. Lascio che il caso si diverta mentre mi nascondo in attesa di divertirmi io. Ti chiamo. Ti chiamo. Urlo fin quando riesco a farlo. Il mio freddo rimane. Il mio freddo se ne va. Non gli lascio spazio, dipende da me che immedesimo in chi ha tutto lo spazio che gli serve. Le porte della perfezione sono state murate e noi siamo rimasti chiusi fuori. Fuori è l’infinito.