Caso Piacenza: bisogna ripensare l’ordine pubblico

Caso Piacenza: bisogna ripensare l’ordine pubblico

La mancanza di etica e la miseria intellettiva e morale che regnava nella caserma dei carabinieri di Piacenza, equivale a un tradimento nei confronti della professione e della divisa, ma soprattutto rappresenta un grande inganno verso i deboli e gli indifesi che avrebbero dovuto tutelare. E’ qualcosa che supera le perversioni, le immoralità e i pur gravi crimini quali traffico di droga, tortura, arresti illegali, ricettazione, estorsione e chissà quanti altri, commessi dagli arrestati, sono parecchie, ormai, le situazioni incresciose che sprigionano una lordura che si sta diffondendo, che intossica l’intera Istituzione, uccide continuamente coloro che in nome di uno stato in cui credevano hanno sacrificato la vita e offende tutti quelli, tanti tantissimi, che ancora la stanno impegnando spendendosi quotidianamente.

Giustificare tutto con le solite ‘mele marce’ suona, a questo punto, come una offesa all’intelligenza umana. Se per anni ci si permette il lusso di smerciare droga quando tra i compiti principali c’è la lotta allo spaccio, ci si arroga il diritto di massacrare di botte coloro che invece dovrebbero essere da loro difesi, se si mantiene un tenore di vita elevato che stride con il semplice stipendio, se ci si può permettere di affermare “ho fatto una associazione a delinquere”, senza che nessuno soprattutto ai vertici, si interroghi, allora probabilmente, è tutto il sistema che vacilla e che sta scivolando sul terreno insidioso di una cultura di violenza e sopraffazione che rischia di riprodurre quella degli Stati Uniti.

Le vanterie stesse di tanti appartenenti alle forze dell’ordine, che richiamano fenomeni come l’associazione a delinquere, il razzismo e lo squadrismo oppure concetti come la prepotenza, la virilità e il sopruso, scaturiti dagli stessi verbali e intercettazioni, ne sono la dimostrazione. E’ una devianza che va sconfitta perché si accosta a alcune fasce reazionarie e oscurantiste della società e della politica italiana. Tante volte, protette dallo spirito di corpo, le forze di pubblica sicurezza hanno interpretato il loro ruolo facendo uso di una certa violenza gratuita, nei confronti di manifestanti pacifici, delle mobilitazioni popolari, nei confronti delle minoranze, che invocavano solo diritti.

Si pensi ai No tav, No tap, la famosa ‘macelleria messicana’ di Bolzaneto e altre circostanze in cui sono stati oggetto di violenza perfino gli operai, o magari i casi Cucchi, Aldrovandi, Mollicone ecc…annoverati in rubrica come ‘fatti occasionali’. Quando per i superiori e graduati è più importante ‘produrre’ un numero di arresti, anche illegali, maggiore di altre caserme ‘concorrenti’, e a scapito finanche dei diritti basilari del cittadino per fare punteggio e ostentare una falsa immagine di efficienza dello stato, è l’intero apparato a essere ammalato e malfermo.

Il problema è racchiuso nella ‘legge’ tacita del ricorso alla violenza ‘legale e metodica’, per garantire l’assetto borghese di uno stato in via di disfacimento. Forse è giunta l’ora di ripensare l’idea stessa di ordine pubblico rivedendo e mettendo in discussione concetti e valori che la globalizzazione e l’ansia da carriera hanno fatto smarrire. Creare, insomma, insieme alla parte sana delle istituzioni e della politica, un apparato che oltre a gestire la convivenza civile, a combattere la criminalità in modo determinato e mantenere l’ordine pubblico, sia istruita pure a comprendere le varie problematiche di una società cosiddetta ‘democratica’, per ricostruire quel rapporto col cittadino necessario alla vita della collettività.

Pasquale Aiello

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