Coronavirus: l’ennesimo male comune che non ci induce alla comunione

Coronavirus: l’ennesimo male comune che non ci induce alla comunione

Noi italiani siamo un popolo meraviglioso! Abbiamo un patrimonio storico, culturale, artistico e paesaggistico invidiato da tutto il mondo.
Testimoni gli oltre 7000 km di costa tra cui, come disse D’Annunzio: “il più bel chilometro d’Italia” o le città come Napoli, Firenze, Roma, Milano, Venezia che ogni anno portano turisti da tutto il mondo.

Questo virus ci ha totalmente cambiato la vita, da un giorno all’altro tutti i nostri piaceri sono stati spazzati via, una semplice passeggiata in riva al mare o una cena con i nostri amici più cari ora non fanno più parte della nostra quotidianità; ma questo virus, ancor più che le nostre abitudini, ha segnato o dovrebbe aver segnato la nostra coscienza, la nostra mente.
Dopo la visione dei carri dell’esercito a Bergamo, delle bare in fila, della disperazione di chi vede entrare un suo caro in terapia intensiva e non sa se potrà tornare ad abbracciarlo, del collasso del sistema sanitario che ha dovuto fare scelte su chi tentare di salvare o meno, chiunque, anche l’uomo con il cuore più duro e più freddo del mondo, avrebbe chinato la testa e sarebbe rimasto in silenzio.

Ma di fronte a tutto ciò, di fronte a questa situazione così ignobile, di fronte a queste giornate di lutto mondiale non abbiamo perso la cosa che tutti noi sappiamo fare nel migliore dei modi, una cosa che forse nessuna pandemia o catastrofe naturale potrà mai eliminare, ossia la nostra capacità di puntare il dito verso l’altro.
Di fronte a questo mostro che corre più velocemente rispetto alle scoperte fatte su di esso disseminando il panico, piuttosto che collaborare tutti insieme per trovare risposte rapide e corrette si è preferito fare la caccia al colpevole e lavorare individualmente per avere un minuto di gloria.

La battaglia dovremmo farla tutti insieme contro al virus e non fra di noi, altrimenti, come è già successo, la situazione sfuggirà nuovamente di mano.
Di fronte a questo scenario abbiamo assistito a un susseguirsi di virologi sbucati dal nulla, tutti capaci di individuare la soluzione migliore per combattere il virus e siamo stati bombardati da informazioni contrastanti: chiudere la nazione, anzi no lasciarla aperta, chiudere i voli con gli altri stati, anzi no aspettare ancora, il virus è poco più di un influenza, anzi no è un qualcosa di grave e bisogna bloccare tutto.
Umberto Eco diceva che i social media danno diritto di parola agli imbecilli, che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino, e in quel caso venivano subito messi a tacere.

Un attimo dopo l’ordinanza di Jole Santelli, presidente della regione Calabria , sui social si è scatenato il caos: “pazza, assassina, i nostri sforzi sono stati vanificati, dimettiti”. Questa donna non ha dato il “liberi tutti” come tante persone hanno ipotizzato, ma ha semplicemente dato la possibilità di tornare piano piano alla normalità e aiutare a far ripartire l’economia con tutte le precauzioni (perché ricordiamoci che ora oltre per il virus, molta gente sta morendo di fame), poi stava a noi calabresi metterci una mano sulla coscienza e dire: “ok, lei mi fa uscire, mi sta dando fiducia, sono in grado di mantenere un comportamento consono alla situazione in cui il virus è ancora presente?”
Invece purtroppo no, il suo provvedimento è stato considerato come la dichiarazione di fine virus, il ritorno alla vita che finora abbiamo conosciuto.

Se in Calabria ci sono stati zero casi qualche giorno fa, il merito non è il suo, ma quello di tutti i corregionali, perché in questa situazione l’individualismo non conta, conta la capacità e la coscienza di tutti di seguire le precauzioni! Quindi allo stesso modo non sarà colpa sua se i contagi aumenteranno nei prossimi giorni, ma sarà colpa di tutti coloro che non hanno rispettato la situazione.
Basta con questo gioco di colpe, è il momento di collaborare. E non venitemi a dire che quelli del nord sono arrivati a portarci il virus, perché non dovete dimenticare che “quelli del nord” sono i nostri figli, i nostri genitori o i nostri parenti più stretti, persone che per le più svariate esigenze, lavorative e non, avendo la residenza in Calabria hanno deciso di ritornare a casa loro.

Per evitare il diffondersi del virus sarebbe bastato imporre l’obbligo del tampone a tutti coloro che sono arrivati e 20 giorni di quarantena obbligatoria e controllata.
Se vogliamo uscire al più presto da questa situazione e tornare a vivere, è necessario essere rigorosi ed altruisti perché rispettando gli altri, rispettiamo anche noi stessi; indossando la mascherina e mantenendo le distanze, non solo proteggiamo gli altri ma anche noi stessi.

Questo maledettissimo coronavirus ha cambiato molte cose, chissà se da ora in poi cambierà anche il nostro modo di vedere la vita, incominciare ad essere meno egoisti e più rispettosi del prossimo.
La natura ci ha regalato uno dei paesi più belli al mondo, ora tocca a noi ringraziarla dell’opportunità popolandolo di persone degne.

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