Incendi, minacce ed estorsioni: le mani della ‘ndrangheta sul commercio di frutta e verdura
www.bresciatoday.it Associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, danneggiamento a seguito d’incendio, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori. Sono i reati di cui devono rispondere, a vario titolo, le 19 persone finite in manette lunedì mattina – tra il Bresciano, la Bergamasca e Reggio Calabria – al termine dell’operazione condotta dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Bergamo, coordinati dalla Procura e dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia.
“Un’operazione che ha evidenziato ancora una volta la presenza di una cellula di ‘ndrangheta che operava stabilmente tra le province di Bergamo e Brescia – ha sottolineato Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia durante la conferenza stampa convocata per illustrare i dettagli dell’indagine -. Questa indagine è un chiaro indicatore di come la ‘ndrangheta stia fagocitando l’economia lombarda e condizionando i mercati.”
Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, la cellula dell’organizzazione criminale individuata nel corso dell’attività investigativa era in grado di offrire una pacchetto di servizi agli imprenditori del Nord, che andavano dalla fornitura di ‘kit’ per l’evasione fiscale, con l’apporto di compiacenti avvocati e commercialisti lombardi, al recupero crediti – offrendo una mediazione rapida ed efficace – al riciclaggio di denaro tramite le carte Postepay.
Un incendio all’origine dell’inchiesta
L’attività investigativa è scattata dopo l’incendio doloso, avvenuto nel dicembre del 2015, nel capannone della PPB trasporti di Antonio Settembrini, a Seriate. Nel rogo erano andati distrutti 14 automezzi pesanti, circa il 50 % di quelli a disposizione dell’azienda. La vittima dell’incendio, oltre a denunciare l’episodio ai carabinieri, intuendo che dietro la vicenda ci fosse il suo principale concorrente – Giuseppe Papaleo, pregiudicato calabrese legato alla ‘ndrangheta e titolare della Mavero, anch’essa operante nel trasporto di merci per conto terzi – si era a sua volta rivolto a qualcuno che lo mettesse in contatto con esponenti dell’organizzazione criminale.
La competizione tra le imprese di Settembrini e Papaleo nasce quando una terza società operante nel settore ortofrutticolo, per conto della quale entrambe lavoravano (la Sab di San Paolo d’Argon) decide di ridefinire i propri rapporti commerciali, affidando tutto il pacchetto del trasporto ad un’unica impresa. Sarebbe questa la ragione che ha portato al rogo doloso degli automezzi della PPB, i cui esecutori materiali, secondo gli inquirenti, sono tre uomini di casa nel Bresciano: Domenico Lombardo, residente a Rovato; Mauro Cocca e Giovanni Condó, domiciliati a Villanuova e Gavardo. A reclutarli, per conto di Papaleo, ci avrebbe pensato Vincenzo Iaria, anche lui è quindi finito in manette. Per tutti e 4 si sono aprete le porte del carcere.
Per tutta risposta, Settembrini si era rivolto ad un intermediario per attivare persone di pari o superiore livello appartenenti ad un’altra cosca dell’Ndrangheta che lo aiutassero a risolvere la faccenda. Ed è in questo momento che entra in scena Carmelo Caminiti, volto più che noto agli investitori antimafia e gravato da numerosi precedenti penali, anche di carattere associativo perché membro della consorteria ‘ndranghetista dei De Stefano. Caminiti, classe ’61, sarebbe stato assoldato da Settembrini per minacciare tramite i suoi uomini (Antonio Pizzi e Antonio Rago) Giuseppe Papaleo e costringerlo a rinunciare al suo rapporto privilegiato con la società ortofrutticola.
I rapporti del Clan
Mentre i carabinieri proseguivano l’indagine relativa all’incendio doloso, il Ros si focalizzava proprio sulla figura di Caminiti, scoprendo che si sarebbe occupato del “recupero crediti” per conto di un’altra società bergamasca operativa nel settore dell’ortofrutta (la F.lli Santini) in particolare modo gestendo i rapporti con i due fratelli titolari, Alessandro e Carlo Santini.
In quest’ambito gli inquirenti arrivarono a riscontrare che Caminiti non solo sarebbe subentrato “nell’agire illecito” all’indomani dell’arresto del suo presunto socio in affari, Paolo Malara, ma avrebbe intrattenuto numerosi rapporti con imprenditori commercialmente legati ai Santini per farli rientrare dei crediti vantati e con metodi tipicamente ’ndranghetistici, tali da configurare anche i reati di estorsione commessa “in un vero e proprio contesto di associazione a delinquere di tipo mafioso”.
Si sarebbe poi “cristallizzata” l’esistenza di un’associazione ‘ndranghetista attiva sul territorio nazionale, in particolare nel Bresciano, caratterizzata da una sua “autonomia programmatica, operativa e decisionale rispetto ad altre cosche calabresi” (in particolare i Franco e i Tegano-De Stefano) a cui sarebbe stata legata da rapporti “soggettivi e federativi”.
Si tratta di un’ organizzazione che avrebbe commesso diversi reati contro il patrimonio e la persona, come estorsioni, violenze e minacce, appunto, soprattutto nei confronti dei debitori della società Fratelli Santini. Non solo: l’indagine avrebbe permesso di accertare il riciclaggio, aggravato dal metodo mafioso, da parte del nipote di Caminiti, del figlio Michele Fabio, e della moglie Anna Maria Franco, i quali ricevevano sulle proprie carte Postepay somme di denaro ritenute provento delle estorsioni. “