Laura Castelli, un’asina al ministero dell’Economia
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Non si contano le gaffes e gli strafalcioni economici (ma non solo) di Laura Castelli, improvvisamente, nella famelica distribuzione di poltrone e poltroncine, piazzata come vice ministro al Ministero dell’Economia il 18 giugno scorso dal Movimento 5 Stelle. Dalla sua storica risposta “Non lo so”, sul referendum sull’euro, alla questione delle tessere del reddito di cittadinanza, passando per l’ormai celebre “Questo lo dice lei”, nel dialogo con l’ex ministro dell’Economia Padoan, a proposito di spread e mutui”.
Nessuna errore però è stato tanto madornale quanto quella di oggi a proposito del raddoppio della tassa sull’Ires per gli enti non commerciali.
La Castelli non deve essere stata quel che si dice una secchiona nei suoi studi, leggiamo sul suo curriculum ufficiale di un diploma in ragioneria e poi una laurea solo triennale in economia aziendale, qualche consulenza fiscale (sic) a Collegno, qualche anno da “Addetto alla sicurezza allo stadio di Torino” (in questo uguale al suo correligionario Di Maio impegnato al San Paolo di Napoli) e poi la ribalta della politica nazionale già nel 2013. Ben per lei, male per gli italiani visto quel che sta dicendo, e peggio quel che sta facendo.
Oggi, dicevamo se n’è uscita con un’enormità, forse per quell’eccesso di zelo nel difendere l’indifendibile dei suoi compagni di governo che l’ha caratterizzata sino ad ora. A proposito del raddoppio dell’Ires alle realtà non profit ha dettato questa sua acuta osservazione all’agenzia AGI: «E’ giusto: se sei del terzo settore “enti ecclesiastici e non” si presuppone che tu non faccia utili visto che sei senza scopo di lucro. Noi tassiamo i profitti delle no profit mica tassiamo i soldi della beneficenza!».
Cara vice ministro all’Economia, Laura Castelli ci lasci dire che dovrebbe tornare sui banchi, prima ancora che dell’Università della scuola secondaria superiore, ricominciando dalla prima ragioneria.
Il non profit, le sarà sembrato forse, non sono quelle realtà che invece di produrre utili producono deficit e debiti. Lo scopo del non profit non è quello di non realizzare profitti ma di non distribuirli questo prevedono le leggi e le norme fiscali in questo Paese da molti decenni in qua, sino a quando siete arrivati voi.
10 anni fa pubblicammo un glossario del non profit le riporto una voce.
Non profit o no profit?
Non profit: proviamo a fare un po’ di chiarezza sulla grafìa e sul suo significato.
Profit, termine latino, forma contratta della terza persona singolare (modo indicativo, tempo presente), del verbo proficere che significa avvantaggiare. La parola confluì nel vocabolario anglosassone, tra il Cinquecento e il Seicento, ad opera di alcuni monaci. Non profit, termine d’origine americana più che anglosassone, sta per non profit organizations, e indica quegli enti che operano senza avere per fine primario il conseguimento del profitto (il termine scientificamente più usato è, infatti, Not for Profit). Il che non vuol dire che non possano conseguire dei profitti, ma semplicemente che questi debbano essere reinvestiti nel perseguimento del fine primario di queste organizzazioni. Riassumendo: giusto scrivere non profit, sbagliato no profit.
E il Terzo settore, perché è definito come settore terzo? Con quest’espressione, usata spesso come sinonimo di non profit, si indica l’insieme dei soggetti che operano secondo logiche e meccanismi che non appartengono né allo Stato né al mercato. Definizione considerata da alcuni inadeguata perché è una definizione per negazione. Costoro preferiscono parlare di “economia civile”.
L’avanzo di gestione nelle realtà non profit non può essere distribuito né direttamente né indirettamente ed è questo un modo per ribadire lo scopo principale delle organizzazioni non profit laddove si realizzano scopi ideali e non finalità lucrative – specularmente non è altro che l’obbligo di devoluzione permanente del patrimonio dell’associazione per gli scopi istituzionali di quest’ultima. L’assenza delle finalità lucrative negli enti non profit è una delle caratteristiche giuridicamente rilevanti, rimarcata dalle norme che vietano la distribuzione degli utili, anche indirettamente, e che, quindi, vincolano la destinazione alle attività istituzionali dell’organizzazione.
L’avanzo di gestione non può essere distribuita tra i soci o tra gli altri membri del direttivo, ma può essere reinvestito in:
A) nuovi progetti dell’associazione;
B) portato nuovo ovvero destinato alle attività future dell’associazione.
Quindi, cara la mia asinella, raddoppiare le tasse di una realtà non profit equiparandola a una gioielleria o un’industria o qualsiasi altra realtà a scopo di lucro, significa intaccare proprio la parte di utili che vivaddio anche le realtà non profit devono perseguire per restituire servizi degni a chi più ha bisogno, destinate a moltiplicare e migliorare i loro servizi alla comunità.
Cara vice ministro l’ignoranza, nel suo caso non è una scusante ma un’aggravante di colpa.
Riccardo Bonacina