Il dialogo ai tempi dell’odio su Facebook
Un paio di giorni fa, ho espresso la mia opinione sulle politiche di Matteo Salvini, commentando un articolo di Telemia che ne riportava alcune dichiarazioni sul tema dei migranti.
Opinione, la mia, che si è liberi di condividere o meno, naturalmente. Anzi è proprio nella diversità dei punti di vista che, fino a prova contraria, alberga l’essenza della democrazia.
Ciò premesso, se riporto questi commenti non è né per esibizionismo né, tantomeno, per vittimismo. Ritengo piuttosto che essi siano il manifesto di una tanto preoccupante quanto diffusa tendenza del nostro tempo: quella di offendere deliberatamente e con intenzionale cattiveria chi la pensa diversamente da noi; insultare gratuitamente anche chi non si conosce per il solo gusto di vomitare il proprio odio contro qualcuno, in modo ingiustificato e ingiustificabile.
Oggi, complici l’uso incontrollato dei social media e l’involgarimento spropositato del linguaggio e del modus operandi di chi ci dovrebbe rappresentare, chiunque si sente padrone di assurgere a leone da tastiera per denigrare l’altro. Stare dietro lo schermo di un computer infonde un rancoroso coraggio; a ciò si aggiunga che gli esponenti di spicco della classe politica somministrano in perfetto stile propagandistico una quotidiana dose di slogan, facili da ricordare e da usare senza doversi sforzare di pensare (vedi: “è finita la pacchia”, “porta i migranti a casa tua”, “aiutiamoli a casa loro”, “buonisti/moralisti/perbenisti”, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera).
Il messaggio dev’essere breve e diretto, in conformità alla regola degli hashtag, dei click e dei likes: la capacità di argomentare non è ammessa, la volgarità è divenuta sintomo di efficacia lessicale.
Ecco quindi che il dialogo è sostituto dall’insulto, la spiegazione viene soppiantata dagli slogan ripetuti senza cognizione di causa; non ci si preoccupa più di informarsi, in quanto la competenza non è richiesta e pertanto apparentemente neanche necessaria: tutti parlano di tutto e credono di sapere tutto.
La realtà viene semplificata, i problemi sminuiti o peggio strumentalizzati, il linguaggio impoverito e i rapporti umani inaspriti dalla dimensione virtuale del confronto.
I social network sono diventati un enorme contenitore di rancore, il luogo in cui haters di ogni dove si sentono liberi di scaricare quotidianamente la propria frustrazione.
In tale contesto, la diversità (sia essa di razza, di cultura o di opinione) non viene tollerata ma aggredita.
Personalmente, ritengo che l’unico strumento per venir fuori da questo degrado umano e culturale sia la conoscenza.
Conoscere ci permette di apprezzare il valore delle differenze e della moltitudine dei punti di vista; conoscere ci permette di diventare cittadini attivi e consapevoli; conoscere ci permette di non sorbire in maniera acritica qualunque parola scritta o o orale che sgorghi intorno a noi; conoscere ci permette di avere rispetto dell’altro e di vedere nel confronto un’opportunità di incontro anziché di scontro; conoscere ci permette di riempire di contenuti le nostre affermazioni, e quando ci sono i contenuti l’insulto non ha ragione di esistere; conoscere ci permette di non perdere di vista la nostra dimensione umana: in fondo è proprio questa ad accomunarci tutti, rendendoci al contempo meravigliosamente diversi.