Gli operai di Antonio Di Maio: “Compilava buste paga con cifre non vere”

Gli operai di Antonio Di Maio: “Compilava buste paga con cifre non vere”

Notizia tratta da: corriere

Antonio Di Maio compilava buste paga per i suoi dipendenti con cifre diverse da quelle reali. Metteva un compenso inferiore a quello elargito e il resto lo pagava «in nero». Lo hanno raccontato gli operai che lavoravano per la Ardima Costruzioni al giudice civile cui si era rivolto l’operaio specializzato Domenico Sposito. E lui stesso non ha negato di aver effettuato «versamenti in contanti». I verbali dei testimoni e i documenti contabili acquisiti nel corso della vertenza ricostruiscono la gestione dell’azienda di famiglia di Luigi Di Maio, ministro del Lavoro e vicepremier. La società era intestata alla madre Paolina Esposito, ma era il padre il vero proprietario. E nel 2014 i genitori decidono di donarne le quote ai figli: il 50 per cento ciascuno a Luigi e Rosalba facendole confluire nella Ardima srl di cui è amministratore il terzo fratello, Giuseppe. E questa mattina sarà proprio Antonio a dover effettuare un sopralluogo con i vigili urbani sul terreno di Marignanella dove aveva sede legale l’azienda per la verifica di alcuni edifici abusivi. Su quei terreni ci sono alcuni ruderi, ma anche un campo di calcio.

La richiesta al tribunale
Il 2 febbraio 2012 l’operaio assistito dall’avvocato Ignazio Sposito si rivolge al tribunale di Nola per farsi riconoscere «un rapporto di lavoro subordinato, full time, a tempo indeterminato per non meno di 10 ore al giorno» da luglio 2008 a settembre 2011. Antonio Di Maio deposita una memoria in cui contesta le istanze sottolineando che «il contratto di 4 ore era stato richiesto dal dipendente, ma poiché la giornata lavorativa dura otto ore, le restanti quattro ore giornaliere venivano versate in contanti» e così ammette il pagamento «in nero». Sposito a questo punto convoca alcuni colleghi, lo stesso fa il titolare della ditta. Nessuno tra i dipendenti nega che la contabilità della Ardima Costruzioni fosse «non veritiera».

I falsi cedolini
Vincenzo Ciollaro è uno dei testi chiamato da Di Maio. E racconta: «Inizialmente Antonio Di Maio pagava tutti in contanti l’intero importo della busta paga e dopo tre o quattro mesi ci dava i soldi attraverso banca posta. L’importo riportato in busta paga era quello degli acconti e poi a fine mese ci dava il saldo. L’acconto riguardava la paga di 20 euro al giorno per otto ore. Una settimana prima della cessazione del rapporto Antonio Di Maio ci disse che sarebbe cessato il contratto. Sposito chiese di essere messo part time perché aveva un problema al ginocchio. Anche io fui messo part time perché il geometra ci disse che nella ditta dovevamo essere in due». Viene sentito anche Giovanni La Marca che aggiunge: «Ho lavorato per Ardima dal 2008 al 2009. Venivo pagato in nero e poi sono andato via. Venivo pagato 60 euro al giorno, quando non lavoravo non mi davano niente. Di Maio ci dava i soldi ogni 15 giorni presso il cantiere». Angelo Di Carluccio aggiunge altri dettagli: «Lavoravo quattro ore pagate con il bonifico e quattro in contanti».

Gli orari e il Tfr
Per dimostrare di avere ragione Sposito racconta al giudice la sua giornata di lavoro: «Alle 7 andavo al deposito a Marignanella, caricavo i materiali sul furgoncino e mi recavo al cantiere. Lavoravo fino alle 17,30. Avevo mezz’ora di pausa. Lavoravo dal lunedì al venerdì e il sabato fino alle 14. Poi andavo in giro con il furgoncino. Prendevo 75 euro al giorno ogni 15 giorni. Sottoscrivevo la busta paga con gli importi indicati che erano superiori a quelli corrisposti calcolati solo sui giorni di lavoro effettivo. Mi davano gli assegni familiari a volte si è a volte no. Quando sono andato via mi hanno dato un Tfr di 2.500 euro ma non corrispondeva al dovuto». Antonio Di Maio non nega la ricostruzione dell’operaio, pur sottolineando di aver accontentato «le sue esigenze personali e lavorative». Per questo gli offre di chiudere la causa con 5.000 euro. Sposito rifiuta, perde e ricorre in appello.

Il sopralluogo
Stamattina Antonio e Giovanna Di Maio, papà e zia del vicepremier, dovranno presentarsi al comando dei vigili urbani di Marignanella per dimostrare che sul loro terreno non ci sono irregolarità. Nell’originario piano regolatore del Comune quell’area doveva essere destinata a scuola o biblioteca, ma a distanza di quasi 40 anni non c’è traccia di queste opere. Anzi ci sarebbero due o tre manufatti che però non risultano in regola alle verifiche catastali. E da ieri si sa anche di un campo da calcio dove si allenano i pulcini della scuola calcio locale. «Il nostro centro si trova accanto a quello che fino a sette anni fa era un campo pieno di erbacce dove andavano a finire sempre i palloni», racconta il direttore sportivo Franco Cucca. Hanno il permesso di utilizzarlo «ma senza pagare l’affitto. L’accordo prevede soltanto che dobbiamo mantenerlo pulito».

Simona Brandolini – Fiorenza Sarzalini

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