Siderno, vile atto intimidatorio ai danni della famiglia Congiusta
Notizia tratta da: newz
Siderno (Reggio Calabria). Una manciata di terra sistemata con accuratezza. Un tumulo in miniatura piazzato lì, come per seppellire il ricordo di qualcuno, davanti alla porta dell’attività di famiglia. È questa l’ultima vile intimidazione subita dalla famiglia Congiusta, a nemmeno un mese dalla morte di Mario, il padre coraggio che per 13 anni ha lottato per avere giustizia per la morte del figlio Gianluca, barbaramente ucciso dalla ‘ndrangheta il 24 maggio 2005.
Il fatto è avvenuto alcuni giorni fa, quando davanti all’ingresso dell’attività commerciale di famiglia è stata realizzata, con del terriccio di montagna, la simulazione di una sepoltura. Un gesto inquietante, compiuto mentre a Siderno erano in corso i festeggiamenti della Madonna di Portosalvo e, quindi, durante un momento di caos tale da far passare inosservati, almeno nell’immediatezza, gli autori.
Un gesto che sarebbe potuto passare inosservato, se non fosse per la recente scomparsa di Mario Congiusta, evento, quest’ultimo, direttamente richiamato da quel cumulo di terra in un posto tutt’altro che casuale: gli autori hanno infatti scelto proprio quel posto, sistemando il terriccio oltre le inferriate che separano la porta dalla strada. Il messaggio sembra essere chiaro: la battaglia di Mario Congiusta sarebbe morta assieme a lui, sepolta per sempre dopo più di un decennio in prima linea. Alla luce del sole, contrariamente a chi, invece, ha deciso di inviare il lugubre messaggio, agendo, ancora una volta, nell’ombra. Si tratta, infatti, dell’ennesima intimidazione denunciata dalla famiglia: tra le tante quella compiuta a novembre 2011, quando ignoti hanno lasciato un barattolo con del liquido infiammabile e della carta a fare da miccia davanti al portone di casa.
L’episodio, ora sottoposto all’attenzione degli inquirenti, ai quali la famiglia ha sporto denuncia, non è un caso isolato: i Congiusta – che però hanno preferito non rilasciare dichiarazioni alla stampa – hanno riferito agli investigatori del commissariato di Siderno altre vicende, avvenute nelle scorse settimane, delle quali quella dei giorni scorsi rappresenta l’apice, nonché l’ennesima delle stazioni del calvario della famiglia.
Il processo per la morte di Gianluca Congiusta è stato, infatti, lungo ed estenuante, chiudendosi senza un colpevole. All’imputato, il boss sidernese Tommaso Costa, già condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Pasquale Simari, era stato inflitto il carcere a vita, sentenza pronunciata per tre volte sia dai giudici della Corte d’Assise di Locri sia da due diverse sezioni della Corte d’Assise d’appello di Reggio Calabria. Ma la Cassazione, lo scorso 19 aprile, ha chiuso i giochi, annullando senza rinvio la condanna inflitta il 28 giugno 2017 dai giudici reggini.
Secondo la tesi della Dda di Reggio Calabria, il giovane imprenditore sarebbe stato ucciso per essere venuto a conoscenza della lettera estorsiva fatta recapitare da Costa al suocero Antonio Scarfò, che poi consegnò la missiva al genero affinché intervenisse. Il boss, dunque, avrebbe ordito l’omicidio per eliminare un testimone scomodo e lanciare un segnale ai rivali, la cosca Commisso uscita vincitrice dalla sanguinosa faida che aveva decimato la sua famiglia. L’omicidio si è consumato nel periodo di latitanza di Costa, uscito dal carcere grazie all’indulto. Ma gli elementi a sostegno della tesi dell’accusa, secondo la Cassazione, non hanno superato il limite del ragionevole dubbio.
Stando alle motivazioni della sentenza, i moventi alternativi all’omicidio – la possibile usura esercitata da Congiusta e il movente passionale – sono stati totalmente esclusi dalla seconda sentenza d’appello. Nessun vizio di legittimità, dunque, «in relazione all’ampio approfondimento istruttorio svolto dai giudici di merito che, senza vizi logici, ha escluso la emergenza di qualsiasi elemento a sostegno di moventi alternativi e – segnatamente – rimanendo incontestata l’affermazione dei giudici di merito circa la completa mancanza di ragioni per le quali il Salerno (Salvatore, indicato dai difensori di Costa come vero assassino della vittima, nda) avrebbe dovuto uccidere il Congiusta». Ma ciò non è bastato, ai giudici della sesta sezione penale del Palazzaccio, per convincersi della colpevolezza di Costa.
Simona Musco