Rocco Casalino, il Casaleggio boy non eletto da nessuno che detta legge nelle stanze del governo

Rocco Casalino, il Casaleggio boy non eletto da nessuno che detta legge nelle stanze del governo

Notizia tratta da: ilmessaggero

Lo stipendio di Rocco Casalino è quello che è. Nulla da eccepire: se non sulla lagna grillina del pauperismo che si sta rivelando, oltre che culturalmente sbagliata, politicamente boomerang. L’audio sboccato e minaccioso, pieno di volgarità come è d’uso nel Codice Rocco, poteva avere invece un duplice destino. Restare riservato in nome del rispetto della privacy (anche se non si tratta di materiale trafugato ma di un messaggio direttamente diramato dal titolare e volutamente pieno di cose false e non degne di un rappresentante istituzionale) oppure essere reso pubblico, come s’è fatto, e farlo diventare un documento su un pessimo stile. Quello del portavoce Casalino, che è ben più di un portavoce, e la sua voce fa spesso tacere o indirizza e comanda quella di chi formalmente gli è superiore.

COMMISSARIO
Rocco è il non eletto che conta più degli eletti, lavora per Conte ma lo sovrasta, dovrebbe essere un sottoposto di Di Maio ma ne tiene l’agenda e un po’ le redini, forma con Casaleggio (prima padre e poi figlio) e con Grillo una sorta di trimurti inscindibile e rappresenta, sempre da non eletto, la filiale romana presso Palazzo Chigi di un’azienda milanese, la Casaleggio Associati. Che è formalmente estranea alla politica ma ha in Casalino, e in subordine nel collega Pietro Dettori, una sorta di commissario politico nel cuore del potere politico.

Il Codice Rocco, così come risulta dal Whatsapp, è un misto di ingenuità (poteva pure immaginare che l’eccesso di virulenza avrebbe ingolosito un giornalista a spiattellarla in pubblico) e di brutalità (finisce «ai coltelli») e uno sfoggio di arroganza e di spirito di vendetta preventiva contro funzionari dello Stato, alti rappresentanti della burocrazia ministeriale ritenuti colpevoli di non essere allineati con chi comanda. Non si è mai vista una figura di governo parlare così di chi manda avanti la macchina delle istituzioni. Ma Rocco pensa di potersi permettere le pose da Grande Fratello (da quello televisivo proviene) perché «Rocco, Rocco, Roccoooo», «Ti ha parlato Rocco?», «Devo chiedere a Rocco», «Ma davvero stai antipatico a Rocco?»: lo strapotere di Casalino – bastava vederlo, tanto omaggiato, all’ultima festa del 2 giugno al Quirinale – s’incarna nella deferenza che gli portano non solo i giornalisti ma anche i parlamentari M5S. Non solo i peones la cui esistenza in vita, cioè la visibilità, dipende dal fatto se piacciono a Casalino oppure no («Quello parla troppo siciliano, in tivvù non ce lo mando», «Quello è troppo brutto, non merita il video»), ma anche i leader. Casalino è quello che muove Conte, o lo strattona, come accadde al G7 in Canada quando prendendolo per il braccio lo portò via bruscamente, per non farlo parlare con i giornalisti e il premier parve proprio imbarazzato. Lo stesso premier che soffre l’invadenza di Rocco e tempo fa è girata la voce che non lo volesse più nelle trasferte internazionali.

Blindatissimo dall’alto (tutti con Rocco anche in questa occasione, perfino Fico con cui la leggenda vuole che proprio non sin pigliano) e marcatore stretto di chi sta in alto. Questo è Rocco. E quello che, cosa ineditissima e alla faccia di tutti gli spin doctor della storia della Repubblica, come fosse un capo politico e non un comunicatore è stato seduto da pari a pari, tra capi di partito e futuri ministri, nel tavolo della formulazione del Contratto di governo.
Così nella veste di semi-leader, in quella di sentinella della parola pentastellata ha inventato il sistema del contraddittorio tivvù: ossia, concede un ospite grillino nei talk show soltanto se può parlare soltanto lui. E non pochi titolari dei salotti mediatici soggiacciono a questa regola perché a Rocco, che scruta controlla, benedice, condanna, non si può dire di no. L’importanza di chiamarsi Rocco secondo lui poggia su un dato, come ha scritto in replica a chi gli contesta di guadagnare troppo: «Sono laureato in ingegneria, sono giornalista professionista e parlo 4 lingue». In italiano, egli usa molto spesso (anche per chiamare i giornalisti) il vezzeggiativo «amore». Parola che nel messaggio anti-Mef non compare. Forse perché vi prevale l’odio, sentimento inammissibile per chi, per meriti propri o per demeriti altrui, si trova al momento nelle stanze più importanti del governo.

Mario Ajello

CATEGORIES
TAGS
Share This