‘Ndrangheta: a caccia delle Vacche Sacre nel parco dell’Aspromonte
Notizia tratta da: ilsole24ore
Aspromonte – Mentre la macchina si inerpica dalla Piana di Gioia Tauro verso il Parco dell’Aspromonte ti assale il dubbio di essere fuori dal mondo. Tu, che arrivi da Milano, dove pure la criminalità organizzata sta conquistando spazi di vita economica e sociale sempre più ampi, sei qui, tra Cittanova, Amato, Taurianova, Molochio, Polistena, Cinquefrondi e Varapodio alla ricerca delle vacche sacre della ‘ndrangheta. Quelle che, narra la leggenda, nessuno osa toccare perché rappresentano il segno del comando criminale e che arrivano persino nei centri abitati.
La sensazione di essere fuori dal mondo la tocchi con mano, anzi, con i piedi, quando scendi dalla macchina dopo avere attraversato una decina di chilometri di strade che manco a Beirut bombardata e affondi le scarpe nella fanghiglia di un uliveto meraviglioso. Lì, nascosti tra i tronchi, mentre provi a raggiungere due bovini che ruminano, ti sembra di essere l’Indiana Jones dell’Aspromonte e invece sei solo un alieno che mentre prova ad avvicinarli si chiede se hanno o meno l’anello all’orecchio.
Infinite combinazioni
Già perché se non lo hanno – e lo scopri dopo aver parlato con chi affronta il fenomeno da decenni per 365 giorni all’anno – allora sono bovini selvaggi senza apparente padrone (poi scopri che comunque fanno in gran parte capo alle cosche di ‘ndrangheta). Se ce l’hanno, invece, sono vacche che pascolano tranquillamente nei terreni dei proprietari. Tutto qui? No, perché in questo puzzle di folli combinazioni, che prevede altri incastri a geometria variabile, mentre continui a inzaccherarti mocassini e pantaloni nella insensata rincorsa dei bovini, non sai se tenere conto del fatto che anziché l’orecchino possano avere un chip, come prevede la legge, per tracciarne provenienza e arco di vita. Insomma, mentre pensi tutto questo e contemporaneamente ti domandi se sogni o sei desto, le vacche sono fuggite che manco Usain Bolt riuscirebbe a prenderle. Erano selvagge. Non c’è dubbio.
Risali in macchina e sali, sali e sali e mentre incontri altri branchi e capi – senza porti più domande folli e rischiare di perdere il contatto con la realtà fatta di strade bombardate, nebbia e uliveti a perdita d’occhio – arrivi a Zomaro, un nome che è tutto un programma, ma che è la zona aspromontana nella quale ti aspetti di vedere le vacche (sacre o sconsacrate) che lo Stato ha catturato e rinchiuso grazie alla task force interistituzionale voluta dal prefetto di Reggio Calabria Michele Di Bari, attuata dal questore Raffaele Grassi, spinta dal sindaco di Cittanova, Francesco Cosentino e benedetta dal Comitato No Bull che da fine 2017 ha rotto il muro della paura e della rassegnazione che per lungo tempo ha costretto gli abitanti dell’area a subire.
Il Comitato No Bull
Non è facile raccogliere 30 iscritti e centinaia di adesioni in una zona dove – correva l’anno domini 1971 e l’uomo aveva già percorso pressoché ovunque e da centinaia di anni la via della civilizzazione – la faida tra le famiglie Raso e Facchineri lasciò decine e decine di morti sul campo e nei pascoli vacche di cui nessuno poteva più occuparsi, intenti come erano i proprietari a farsi la guerra. Nessuno, nell’area attraversata dalla violenza delle cosche, osò toccare un solo bovino e da allora questa tradizione che solca sul terreno le tracce di un primato criminale ancestrale e ricco di significati, si perpetua.
Ridiscendi dalla macchina e delle vacche nel mini recinto di fortuna a Zomaro, manco l’ombra. Che fine hanno fatto? Risali in macchina attento a non spaccare i semiassi e raggiungi il sindaco Cosentino, che ti spiega che sono state abbattute dopo la cattura. In tutto una trentina di esemplari sui circa 1.200 che si presume vaghino in questo perimetro geografico. Di chi erano nessuno lo sa ma il Comune, dopo avere studiato a lungo centinaia di carte, leggi e regolamenti, ha tirato fuori dal cilindro quella che appare una soluzione: grazie alle misure straordinarie di polizia veterinaria sarebbe possibile abbattere (ma gli animalisti insorgeranno) questi bovini allo stato brado, non tracciabili in alcuna anagrafe animale, che rappresenterebbero un serio pericolo per la salute dei consumatori. Motivo per il quale ora i sindaci interessati dal fenomeno – oltre a quelli citati ci sono tra gli altri quelli di Terranova, Delianuova, Sappo Minulio, San Giorgio Morgeto, Ardore e Pazzano – batteranno cassa anche alla Regione per sostenere le spese: dalla cattura allo smaltimento. Già, perché smaltire una singola carcassa di animali che arrivano a 15 quintali – potenzialmente distruttivi anche per un torero in un’arena, al punto che provocano incidenti su incidenti, alcuni dei quali gravissimi, con il loro vagabondare senza meta tra un terreno e un altro, tra un strada e l’altra – costa fino a 1.500 euro.
C’è vacca e vacca
Mentre il sindaco illustra tutto questo ti chiedi: già, ma di quelle con il chip o orecchino che dir si voglia, chi se ne occupa? Vagano anche loro. A volte in gruppo, a volte isolate, a volte mischiandosi con le mucche selvatiche. Chiedi conto e scopri un altro mondo alieno. «Molte di queste vacche – racconta il sindaco – sono direttamente o indirettamente riconducibile alle cosche di ‘ndrangheta, a partire da Raso, Facchineri e Gullace». E scopri che dietro il loro proliferare ci sono anche interessi economici incredibili, grazie alle centinaia di migliaia di euro che arrivano agli allevatori attraverso contributi regionali e/o comunitari. «Il punto – spiega Cosentino – è che mancano i controlli ma da quel che risulta le Aziende sanitarie e le autorità giudiziarie stanno finalmente mettendo mano a questo verminaio».
Oltre ai danni la beffa è tripla: all’arricchimento spesso illecito si aggiunge il fatto che, quando i capi con chip e dunque tracciabili, vengono sequestrati, le aziende zootecniche si spingono a minacciare querela ai sindaci per maltrattamento di animali e, inoltre, le spese di restituzione dei bovini ai legittimi proprietari sono a carico delle casse municipali. Si tratta di cifre che hanno toccato anche 40mila euro nel recente passato.
Pericolo emulazione
Se buona parte delle vacche tracciabili sarebbe riconducibile alle cosche, non che quelle vagabonde e selvagge siano immuni dal virus. Anche se ancora nessuna evidenza investigativa è riuscita a dimostrarlo, la gente del posto racconta che la macellazione clandestina è un altro grande business della malavita (soprattutto organizzata) e che contaminare gli allevamenti, arricchendoli con capi non tracciabili, per aumentare il numero dei bovini finanziati dalle istituzioni regionali o europee, è una pratica che prende piede.
Non fai in tempo a meravigliarti e raccogliere lo sfogo giustificato di Domenico Antico e Giuseppe Morabito, del comitato No Bull, che lamentano l’indegno accostamento della parola omertà a una comunità che sta invece alzando ancora la testa (la prima associazione antiracket è nata a Cittanova circa 30 anni fa), che l’ex vicesindaco della cittadina e attuale consigliere comunale, Leonardo Iorfida, ti prospetta quel che non vorresti mai sentire. Il 10 gennaio 1994 fu tra quelli che vennero ascoltati dalla Commissione parlamentare antimafia guidata da Luciano Violante, che per prima affrontò la vicenda. Oggi paventa il rischio di una contaminazione tra cosche. «Abbiamo il fondato timore – spiega Iorfida e con lui concorda il sindaco Cosentino – che ci sia un effetto emulazione in zone sempre più vaste non solo della Piana di Gioia Tauro». Un rischio fondato perché a tutto si può resistere tranne che alle tentazioni: quella di sfidare le Istituzioni sul territorio per dimostrare chi lo controlla davvero a proprio uso e consumo e quella di arricchirsi a scapito delle imprese sane e rispettose del libero mercato.
Parola allo Stato
«Il bilancio delle operazioni è senz’altro positivo – dichiara il prefetto di Reggio Calabria Michele di Bari – . Le attività di questi giorni si stanno rivelando significative sotto vari profili, in specie dal punto di vista della sicurezza pubblica e della prevenzione e del controllo del territorio. Possiamo affermare che quei simboli di intangibilità tradizionalmente noti come “vacche sacre” siano stati infranti. Quanti nel corso di questi anni hanno perseguito direttamente o indirettamente gli interessi illeciti delle famiglie di ‘ndrangheta, si sono trovati di fronte uno Stato forte e coeso, impegnato nelle sue varie articolazioni, determinato ad aggredire e contrastare tale intollerabile fenomenologia criminale. Gli interventi proseguiranno con maggiore intensità e saranno estesi a tutti i territori a rischio. Il futuro non mancherà di riservarci nel settore ulteriori significativi risultati».
Roberto Galullo