Porto di Gioia Tauro, le proposte di Potere al Popolo in 4 punti
Riceviamo e pubblichiamo
Rompere con la gestione monopolistica di Contship, diversificare le attività, intermodalità, valorizzazione delle potenzialità della Piana di Gioia Tauro. Sono queste le soluzioni proposte dai lavoratori per il rilancio del porto e sono queste le parole d’ordine cui Potere al Popolo vuole fare da megafono, nella ferma convinzione che solo chi porta materialmente avanti lo scalo sappia indicare la strada per il vero rilancio per il porto di Gioia Tauro. Regolarmente ignorati dai candidati di ogni schieramento politico, trattati come numeri da eliminare per tenere in piedi i conti di una gestione manageriale fallimentare, costretti a ingoiare sacrifici, demansionamenti, decurtazione di stipendio e di diritti per “salvare” regolarmente lo scalo, per noi di Potere al Popolo i portuali sono gli unici in grado di proporre soluzioni concrete alla perenne crisi di Gioia Tauro. Per questo non possiamo che rilanciare le loro proposte, articolate in quattro punti.
Primo, rompere con la gestione monopolistica di Contship. Ad oggi, stante la legislazione in vigore, l’opzione più credibile appare una riorganizzazione seria degli spazi, in modo da rendere appetibile l’ingresso a un nuovo terminalista. La vera risposta sarebbe per noi la nazionalizzazione della gestione del porto, ossia ridare potere al popolo portuale sulle banchine, e lo diciamo con la consapevolezza che questo significa intervenire su tutte quelle leggi e riforme portuali che negli anni hanno spalancato le porte alle multinazionali, a costo di enormi sgravi su concessioni e tasse, e impedendo di fatto un reale controllo pubblico. Controllo pubblico che dovrebbe anche rappresentare la principale forma di contrasto alle enormi ingerenze della ‘ndrangheta all’interno del porto, ruolo che non può certo svolgere il privato, interessato ad ottenere il maggior utile possibile a fronte del minor numero di “problemi”.
Secondo, diversificazione delle attività. Il solo transhipment, che aveva portato Gioia Tauro ad essere il primo porto del Mediterraneo, oggi rappresenta un evidente limite che, da una parte, ha reso il porto quasi un corpo estraneo al contesto della Piana, dall’altra rappresenta un modello di gestione delle merci irrazionale.
Che senso ha non aprire il porto alla logistica? Perché non fare in modo che i container vengano aperti e lavorati a Gioia Tauro? Attualmente i prodotti destinati ai mercati meridionali devono transitare prima dalle regioni del Nord per essere lavorati, con perdita di tempo e di soldi, ma soprattutto con una perdita ingente di posti di lavoro. Si calcola che la logistica abbinata al transhipment avrebbe una ricaduta occupazionale 5 volte superiore al solo transhipment. Eppure abbiamo tre aree industriali adiacenti al porto deserte, capannoni sequestrati o in possesso delle banche, e non riusciamo a fare altro che creare Agenzie buone solo a coprire le perdite dei privati.
Terzo, intermodalità. Bisogna investire sulle infrastrutture ferroviarie, non le frottole dell’alta velocità in Calabria ma quelle necessarie a collegare realmente il porto al resto d’Europa, e bisogna puntare a una implementazione sia con il sistema aeroportuale, che potrebbe aprirsi ai cargo commerciali, sia con lo stesso sistema portuale, immaginando Gioia come ulteriore snodo per alleggerire il traffico di mezzi pesanti su gomma.
Quarto, valorizzazione produttiva della Piana di Gioia Tauro. La tanto celebrata Zes può essere un’opportunità solo se il porto diventa elemento integrato nel territorio, che deve essere destinatario di investimenti che possano valorizzare le produzioni locali, come un centro per lo smistamento degli agrumi in grado di abbattere i costi di trasporto per le aziende locali. In caso contrario la Zes sarà preda dei soliti speculatori, dei prenditori che purtroppo fin troppo bene abbiamo imparato a conoscere.
Ufficio Stampa Potere al Popolo! Reggio Calabria