Identità golose: il trionfo della cucina calabrese e dei suoi chef
Notizia tratta da: repubblica
Loro che sono rimasti sono i miei eroi. Lo dico sul serio. Certo io faccio conoscere la mia terra cucinando e raccontando i prodotti calabresi in Inghilterra. Ma lo faccio da fighetto in tv. Questi ragazzi, sono quelli che combattono sul campo tutti i giorni”.
L’elogio ai giovani chef della Calabria, Caterina Ceraudo e Luca Abbruzzino, stelle della gastronomia crotonese e catanzarese, arriva dal palco principale di Identità Golose dal microfono di Francesco Mazzei, il cuoco che ha conquistato il Regno Unito e che con i suoi tre locali londinesi, Sartoria, Fiume e il neonato Radici (“creato per combattere la Brexit con prezzi popolari” dice ironicamente, ma non troppo) ha fatto innamorare i sudditi di Elisabetta di prodotti come il caciocavallo silano e la cipolla di Tropea. Con il suo ultimo libro “Mezzogiorno” Mazzei ha scalato le classifiche di vendita inglesi e da giudice di MasterChef Uk è volto noto al grande pubblico che lo conosce come the King of ‘nduja.
Di certo è fin troppo modesto, perché tutto il suo successo lo ha guadagnato in anni di duro lavoro e molti sono ben consapevoli di come la sua notorietà abbia ricadute positive sulla sua terra d’origine (un piccolo salumificio della Sila ha visto moltiplicare le esportazioni dopo il lancio della ”Calabrese” Pizza Express, tra le più vendute nel Regno Unito, che lo vede come testimonial). Ma il messaggio che ha voluto mandare era forte è chiaro: onore ai giovani che fanno impresa in Calabria, regione bellissima eppure difficile, ancora lontana dalla rotte del grande turismo, ancora penalizzata da collegamenti non felici, ancora economicamente un po’ “indietro”.
Ecco allora che valgono davvero tanto i complimenti di chef Mazzei che la sua strada l’ha trovata all’estero, dove pure serba nel cuore e porta a tavola la Calabria, regione ospite della 14esima edizione di Identità Golose. Per quanto riguarda le ricette il cuoco di Cerchiara, nel cosentino, ha dato un saggio del suo stile unico. Ha presentato due piatti che come pochi riescono a essere così corposi, veri, autentici eppure elevati a rango high level. Uno è il maiale “nose to tail”, dal naso alla coda, una ricetta che prevede di utilizzare tutti i tagli, composto da pancetta al forno nappata con fondo di ossa di maiale , guancetta brasata, crocchetta di coda e musetto, sanguinaccio al succo di arancia e bergamotto, cotenna croccante, accompagnati da patate silane schiacciate, spicchi d’arancia pelati a vivo e – strizzata d’occhio alle abitudini britanniche – purè di mele con un pizzico di origano del Pollino. L’altro è un piatto di pesce, il carbonaro dell’Alaska, marinato in un vino frizzante con polvere di liquirizia, peperoncino e bergamotto, poi cotto al forno e accompagnato da salsa di cipolla rossa di Tropea, broccolo fiolaro e barbabietola da zucchero. “Ne coltivano molte in Calabria – spiega Mazzei – anche molti non lo sanno”.
A proposito di prodotti calabresi che pochi conoscono, ecco l’anice nero. A parlarne al pubblico in Auditorium è un’altra calabrese doc, Caterina Ceraudo, che nel ristorante Dattilo dell’azienda agricola di famiglia (a Strongoli, Crotone) brilla di una stella Michelin e del premio per la miglior donna chef assegnato dalla stessa guida. Caterina racconta che in quando a coraggio ha seguito l’esempio di papà Roberto, pioniere della viticoltura biologica in Calabria oltre 30 anni fa “quando il biologico non si conosceva ed era anzi guardato con diffidenza” e che nella sua regione molto sta cambiando, “grazie ai giovani, ai cuochi e ai produttori che fanno sistema e stanno scommettendo su una terra bellissima e vergine, perché poco conosciuta”. Il suo appello: “le ricchezze biodiverse sono sotto il naso di tutti, basta saperle riconoscere”.
Come l’anice nero, appunto, caratterizzato da semini neri molto piccoli, dall’aroma e sapore simili al comune anice ma molto più forte e intenso (“una delle economie nascoste da valorizzare”), o come i ben più famosi cedri. Sono questi due ingredienti i protagonisti di un piatto di pasta “capellini al cedro e anice nero”, cioè conditi con una pasta di cedro (ottenuta arrostendo l’agrume con rosmarino e lo speciale anice) e una salsa al latte alcolica al cedro (una sorta di crema di limoncello ma di cedro, ndr). Un prodotto nobile della Calabria, i gamberi rossi, finiscono invece per prendere la forma e il colore del peperoncino grazie a una lunga marinatura nel succo di barbabietola rossa. Vengono serviti con petali di barbabietola, cotti in succo di arancia. Gamberi, arancia, barbabietola, tutto il rosso di Calabria a creare una rosa nel piatto.
Altra provincia altra storia per quella del già citato Luca Abbruzzino. Anche lui tesse un’ode alla sua regione, in cui “proprio perché è più difficile, c’è più soddisfazione ad avere successo”. Il ristorante di famiglia che porta il suo cognome è un vero ponte tra passato e futuro dell’alta cucina di Catanzaro: “a fianco a piatti in cui mi diverto a sperimentare ci sono anche alcuni grandi classici a cui i clienti sono affezionati”. Tra questi non possono mancare i fusilloni con ‘nduja e ricci di mare, ma poi eccolo esaltare altri prodotti ittici del mare di casa: il “fasciàno”, uno scorfano di fondale annoverato nel ‘pesce povero’, il baccalà tipico della cucina popolare, il latte di capra. Ciascuno dei tre è protagonista di un piatto: il primo diventa una tartare condita con una maionese di mandorla e ostrica, avvolta in una foglia di verza sbianchita, abbrustolita al barbecue e nappata con un sugo ottenuto da testa e scarti del pesce tesso; il secondo è servito in cotture diverse, in base alla parte anatomica (trippette in casseruola, filetto al forno, maionese di solo collagene ottenuto in cottura, chips con la pelle); il terzo è un dessert di latte e formaggio caprino con cui ottiene un gelato, una meringa, una crema sifonata, servito con un’aria di Whisky perché il torbato ha sentori che ricordano la stalla. “Dai miei fornitori, dagli artigiani da cui mi servo capisco quanta ricchezza, quale giacimento gastronomico ha a disposizione la mia regione, dobbiamo solo impegnarci a metterla più a frutto”.
Un altro calabrese che rivendica l’orgoglio delle sue origini è un giramondo cresciuto in Francia, che ha lavorato a lungo in Asia, trovando poi casa a Roma. Anthony Genovese ricorda che “negli anni 50 i miei nonni hanno scelto di lasciare la Calabria per cercare lavoro all’estero, ma mio nonno finché ho avuto 18 anni si è sempre opposto a che prendessi la nazionalità francese per rispetto alle nostre origini”. E anche se l’accento di Genovese ha un che di marcatamente gallico confessa: “la mia prima lingua è il reggino”. Genovese, chef del due stelle ristorante Il Pagliaccio in via dei Banchi Vecchi nel cuore di Roma, è famoso per il tocco fusion franco-nippo-italiano, perché avevo viaggiato molto ha nelle sue corde tecniche, sapori e profumi di tutti i Paesi in cui ha vissuto. “Ma tra i miei preferiti ci sono quelli della Calabria”. Che riesce a racchiudere in un tortello, quello di pancetta di maiale nero affumicato con cipolla e pomodoro confit, servito su una crema di caciocavallo e nappato con salsa di pomodori secchi e col tocco di estratto di erbe bitter. I tortelli, dopo cottura in acqua, vengono poi abbrustoliti in padella “a ricordare quelli asiatici alla griglia, ma anche la superficie abbrustolita delle lasagne”.
Originalissimo, per concludere, il piatto che sia chiama 38esimo parallelo. “Ho scoperto che nel comune di Righi in Calabria passa il 38esimo parallelo, che tocca anche il giappone e la Corea. Ho allora creato un piatto che unisce le tre terre, che sono poi quelle che porto nel cuore”. Si tratta di sottili fettine di filetto di pecora crudo salmistrato , “non schiacciato col batticarne, ma appiattito col mattarello per non rompere le fibre”, accompagnato da finti ravioli di sfoglia di daikon marinato al cedro con farcia di ‘nduja e purea di agrumi. Il tutto è nappato con grasso di pecora e una riduzione di latte ovino. Per completare capperi di Sambuco. La cucina calabrese, in Calabria, a Roma o all’estero, non è mai stata così dinamica.
Eleonora Cozzella